Sudan: al Parlamento Europeo l'allarme per una crisi che minaccia direttamente l'Europa

«Non basta più l'aiuto umanitario: serve una strategia politica per una pace duratura». È questo il messaggio emerso il 9 dicembre scorso dalla conferenza “Il Sudan in crisi: trasformare l'azione umanitaria in una pace duratura”, organizzata al Parlamento Europeo a due anni e otto mesi dall'inizio della guerra tra Forze Armate Sudanesi (SAF) e Forze di Supporto Rapido (RSF), scoppiata il 15 aprile 2023. Moderati da Manel Msalmi, advisor per i diritti umani del Milton Friedman Institute, i relatori hanno descritto un Paese devastato da violazioni sistematiche dei diritti umani, carestia dichiarata in più regioni e lo sfollamento forzato di milioni di persone – la più grande crisi umanitaria al mondo. Claude Moniquet, giornalista ed ex funzionario dei servizi di intelligence belgi, ha denunciato il ruolo centrale della Fratellanza Musulmana e dell'Iran nel sostenere il conflitto, citando prove concrete di traffico di armi iraniane dirette alle SAF attraverso il Mar Rosso e avvertendo che il consolidamento di una rete di influenza iraniana nel Corno d'Africa rappresenterebbe una minaccia strategica diretta per l'Europa e per l'intera regione. Paulo Casaca, ex eurodeputato portoghese e fondatore del South Asia Forum, ha sottolineato come Qatar e altri Stati del Golfo abbiano fornito per anni un sostegno decisivo alle forze islamiste sudanesi e come il regime di Khartoum abbia progressivamente smantellato tutti i meccanismi internazionali di controllo delle violazioni dei diritti umani, ponendo fine, tra gli altri, alla missione UNITAMS. Heath Sloane, direttore dell'intelligence geopolitica di B&K Agency, ha spiegato che gli islamisti sono oggi un attore strategico decisivo nella guerra, con la Fratellanza Musulmana e l'asse Iran–Houthi profondamente radicati. La crisi, ha aggiunto, colpisce direttamente l'Europa attraverso le pressioni migratorie, il rischio di esportazione di ideologie estremiste e la possibilità che potenze ostili acquisiscano una posizione di forza permanente in Sudan. L'Unione, ha concluso, deve sostenere con decisione gli attori sudanesi che difendono il pluralismo: gruppi di donne, minoranze, giornalisti indipendenti e organizzazioni della società civile. Khalid Omer Yousif, ex ministro del Consiglio dei ministri e importante leader politico sudanese, ha ribadito che il conflitto non ha soluzione militare e che le sue radici affondano in decenni di repressione della diversità del Paese da parte dei regimi militari. Ha denunciato gravi crimini commessi da entrambe le parti, chiesto giustizia e accountability, indicato il Movimento Islamico Sudanese come il principale responsabile del prolungamento della guerra e proposto la sua designazione come organizzazione terroristica. Ha quindi invitato l'Europa a sostenere la roadmap del Quad del 12 settembre, a intensificare gli aiuti umanitari e a rafforzare la missione internazionale di accertamento dei fatti. Andy Vermaut, giornalista e difensore dei diritti umani, ha ricordato la speranza della rivoluzione del 2019, soffocata nel 2021 dal ritorno al potere di militari e islamisti e dalle successive atrocità di massa. Ha elencato carestia, violenze sessuali sistematiche e uso di armi chimiche, esortando l'UE a rispettare i propri valori: vietare la Fratellanza Musulmana, isolare gli attori estremisti e garantire corridoi umanitari senza ostacoli. Vermaut ha inoltre deplorato il sostegno attivo dell'esercito e dei servizi di intelligence egiziani alle SAF; il finanziamento opaco da parte di Arabia Saudita e Qatar per l'acquisto sul mercato nero di armi cinesi; l'impiego di aerei da combattimento cinesi e russi – presumibilmente acquistati con fondi qatarioti – per bombardare obiettivi civili, comprese chiese e moschee; e l'offerta di Port Sudan alla Russia come porta d'accesso strategica al continente africano, mossa che rischia di consentire a Mosca di armare milizie in tutta l'Africa con gravi ricadute sulla sicurezza europea. La conferenza si è chiusa con la proiezione del recente reportage di France 24 che documenta l'uso di armi chimiche da parte dell'esercito sudanese contro la popolazione civile. Il messaggio finale a Bruxelles è stato chiaro: senza un impegno politico deciso per isolare gli estremisti e sostenere le forze democratiche e pluraliste, l'Europa rischia di ritrovarsi presto le conseguenze di questa guerra direttamente alle proprie porte.