Sei anni di gogna mediatica. Da una parte il processo Open Arms, con lo strascico del ricorso in Cassazione e l'assoluzione definitiva per Matteo Salvini dell'altro ieri. In contemporanea, il fango di articoli e inchieste che secondo le procure sarebbero state montate ad arte con dossier "fabbricati" all'Antimafia da Striano&Co. Un "trattamento speciale" prolungato nel tempo con cui la Lega e il suo leader hanno dovuto a lungo fare i conti. Ora che la verità è stata ristabilita, il vicepremier fissa già l'orizzonte alla prossima legislatura. «Un ritorno al Viminale? Noi abbiamo oggi 236 miliardi di cantieri aperti, sono un testone e voglio finire bene il lavoro che ho cominciato. Se gli italiani ci risceglieranno nel 2027, sicuramente occuparmi di ordine pubblico, lotta alla mafia, alla droga e ai trafficanti di esseri umani, è qualcosa che ho fatto con discreti risultati da ministro dell'Interno e potrei tornare assolutamente a fare», dice ai microfoni di Rtl 102.5. Quanto è successo dal 2019 in poi, però, non può essere dimenticato tanto facilmente. La Lega veleggiava stabilmente oltre il 30% dei consensi elettorali (per la precisione il 34% alle Europee di quell'anno). Poi la caduta del primo governo Conte, il voltafaccia dei ministri pentastellati e il processo avviato dalla procura di Palermo nel caso Open Arms. Per anni i suoi avversari politici hanno rilanciato le accuse dei pm siciliani. Lo hanno chiamato «sequestratore» di migranti, trovando del tutto naturale pensare di mandare in carcere un ministro "colpevole" di aver svolto il lavoro per cui era stato eletto. In contemporanea, era partita un'altra offensiva mediatica contro Salvini. Grazie agli "spioni" dell'Antimafia sono state letteralmente "saccheggiate" banche dati riservate alla ricerca di qualsiasi appiglio per attaccare il leader del Carroccio. Dai famosi 49 milioni passando per la Russia, fino all'ombra della 'ndrangheta, attraverso una mole mastodontica di file trafugati. Gli approfondimenti del procuratore aggiunto di Roma Giuseppe De Falco e della pm Giulia Guccione hanno portato alla luce come fossero stati estrapolati 159 file legati ad affiliati alla criminalità organizzata calabrese. Rapporti dell'Antimafia, intercettazioni, denunce, richieste di custodie cautelari, verbali di interrogatori e sentenze, che nulla avevano a che vedere con la politica. Né tantomeno con la Lega. Una selezione frenetica, che coincide con la crisi del governo gialloverde e che, secondo gli inquirenti, avveniva per soddisfare le richieste dei cronisti, considerati veri e propri "istigatori" degli accessi abusivi. Ovviamente, tutto montato ad arte.