Il politologo Campi: "Meloni spiazza tutti, ma ora serve fare di più su fisco e sicurezza"

«Come è stato questo 2025 per Giorgia Meloni e il suo governo? Positivo. Ha gestito con accortezza politica la maggioranza politica che la sostiene, anche sui dossier delicati: da ultimo quello sulle nuove forniture di armi all'Ucraina. Ha, inoltre, dimostrato una crescente capacità di interlocuzione con ambienti sociali che non sono quelli tradizionalmente vicini alla destra nazionale: il sindacato Cisl, i cattolici di Cl, la Coldiretti, pezzi importanti di Confindustria... I sondaggi favorevoli per Fratelli d'Italia fotografano esattamente questa apertura della Meloni fuori dai propri confini politici». A dirlo Alessandro Campi, direttore della "Rivista di Politica". Quali sono stati i temi che hanno permesso all'esecutivo di consolidarsi ulteriormente? «Non un tema, ma un atteggiamento: aver scelto di governare nel segno della stabilità in una fase di grande caos economico e geopolitico a livello globale. Gli avversari parlano di immobilismo. Io la definisco prudenza. Il risultato è quello che vediamo: a livello europeo l'Italia è l'unico tra i grandi Paesi che non conosce fibrillazioni istituzionali e con i conti pubblici in ordine. Di questi tempi è moltissimo». In tal senso, quanto ha inciso l'azione della premier nel mondo? Perché l'Italia è sempre più apprezzata al di fuori dei nostri confini? «Il modo con cui si è mossa sulla scena internazionale è stato la vera sorpresa, diventato il suo maggiore punto di forza. Ed è ciò che ha spiazzato i suoi avversari della sinistra, che avevano scommesso, come ai tempi del Cavaliere, sul solito copione propagandistico dell'isolamento internazionale dell'Italia e sul gioco di sponda con un'Ue pronta a bacchettarci su ogni questione. È andata esattamente all'opposto». Su quali aspetti, invece, come recitala nota canzone di Ruggeri, Morandi e Tozzi, “si può fare di più”? «Senz'altro l'economia. Non si vede, a dispetto della retorica sovranista, un chiaro disegno di politica industriale a sostegno degli interessi nazionali. Si tende, inoltre, a mediare troppo tra i mille corporativismi che caratterizzano la società italiana e, in particolare, il mondo economico-produttivo». Durante questi dodici mesi, poi, ci sono state questioni che hanno già messo in crisi Palazzo Chigi? «È stato obiettivamente mal gestito il “caso Almasri”. Se un problema di sicurezza nazionale ne giustificava l'espulsione, bene, andava dichiarato esplicitamente, senza nascondersi dietro questioni legali o procedurali». Se Atene piange, Sparta non ride. Dove è franata l'opposizione negli ultimi dodici mesi? Laddove occorre una svolta? «L'opposizione è doppiamente frenata: dalla lotta sotterranea per la leadership tra Schlein e Conte e dalle sue posizioni contradditorie e a volte ambigue in politica estera. Mettiamoci anche che l'allarme fascismo, dopo trent'anni di allarmi a vuoto, ha smesso di funzionare elettoralmente. Serve solo per qualche titolo di giornale». Due temi fondamentali sono tasse e sicurezza. Chi sta vincendo in questo campo minato? «Sono due temi per definizioni cari agli elettori moderati e di destra e ai partiti che li rappresentano. Ma sui quali bisognerebbe fare di più. Sollevando dalle imposte famiglie e redditi da lavoro. Affiancando alla lotta all'immigrazione clandestina politiche sociali esplicitamente tese a favorire l'integrazione culturale e politica dei “nuovi italiani”». Quali sono i temi su cui gli italiani, oggi, alla politica tutta chiedono più incisività? «Sempre l'economia. I salari italiani sono ancora troppo bassi rispetto alla media europea. E ai giovani, specie se altamente formati, bisognerebbe dare maggiori speranze di accesso al mercato del lavoro, altrimenti rischiamo di perdere sempre più risorse, talenti».