La guerra non è colpa dei maschi prevaricatori, ma di chi odia la nostra libertà

Nel suo magnifico repertorio della “Storia universale dell’infamia” Borges racconta di una donna di guerra, e di guerra piratesca, che oggi diremmo sporca, la temibile e leggendaria Ching Shih, la vedova dell’ammiraglio Ching, “donna nodosa, dagli occhi assonnati e dal sorriso cariato”, ma abile e spietata nell’arte di combattere. Per “tredici anni di metodica avventura” le sue flotte razziarono e ridussero al terrore il Mar della Cina e le truppe all’imperatore, che alla fine con la Vedova venne a patti. Basterebbero queste rapide pagine di Borges a smentire la pagina che Michele Serra ha dedicato domenica, su Repubblica, all’idea che le guerre siano una colpa, ennesima, di genere: vecchi satrapi o quantomeno boomer in servizio militare permanente. Non se la prenda Serra, di cui si apprezza il volontaristico sforzo di assumersi una colpa collettiva, tale quale quando altri boomer maschi si sforzano di caricarsi di quelle della prevaricazione sessuale, sempre facendo di ogni erba un genere. Ma è forzoso, astratto, il costrutto su cui l’Autore ricama circa le cause millenarie delle guerre. “Non si è liberi di parlare di guerra omettendo di dirne ogni volta, fino allo sfinimento, la struttura materiale, ben visibile e immutabile (se non peggiorata) dalla protostoria ai nostri giorni: pochi maschi di potere, quasi sempre anziani e quasi sempre per ragioni di prevaricazione economica, mandano a morire moltitudini di maschi giovani, esponendo le città alla distruzione, le donne al silenzio e alla rassegnazione, quando non allo stupro, la natura e gli animali allo scempio”. Serra cita Papa Leone: “Fragili sono le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l’insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna di cui sono intrisi i roboanti discorsi di chi li manda a morire”. E cita Vonnegut, “vecchi porci mandano a morire i ragazzi”. Si annoterà che il Papa fa il Papa, e che Vonnegut non è Tolstoj. Basterebbe Borges, appunto. La fòla che la guerra non esisterebbe se comandassero le donne è da sempre nell’aria, da Aristofane diciamo, ma poi si devono fare i conti con la realtà. Non solo Ching Shih. Golda Meir ha guidato la difesa armata del suo popolo; Indira Gandhi ha voluto la Bomba atomica (Smiling Buddha) per l’India; Margaret Thatcher bombardò le Falkland; Kaja Kallas ha indicato all’Europa la necessità del riarmo; Sanna Marin ha portato la sua Finlandia a una muscolare adesione alla Nato. L’ex presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha promosso con coraggio l’autodifesa militare dalle minacce d Pechino. Il punto debole di Serra non è tanto nel fantasticabile irenismo delle donne. Ma nel banale fatto che la guerra non esiste per colpa di uomini cattivi, prepotenti. Esiste perché ci sono condizioni e interessi oggettivi di prevaricazione e minaccia che trascendono i generi. Si è costretti a fare guerra perché c’è chi minaccia le nostre libertà, odia le nostre democrazie. Serra è giustamente colpito che i giovani europei, alla domanda se sarebbero disposti a combattere, rispondono come Bartleby lo scrivano. Ovvio, la guerra è uscita dai nostri orizzonti e tutti cerchiamo di tenerla lontana. Ma non perché “la guerra è una pratica arcaica ed è una pratica maschile”. Ci sono donne che hanno guidato e guidano i loro stati a combattere. Lo scontro frontale è per difendere la libertà, senza distinzione di genere.