AGI - Insalata di mare, frittura di pesce, spaghetti alle vongole, capitone, pesce al forno, insalata di rinforzo. Quando si pensa al cenone di Capodanno , sono questi i piatti che non possono mancare sulle tavole dei napoletani . Il cibo, gli addobbi, le luci e i colori, la mise en place, tutto richiama l'eleganza e lo sfarzo di un giorno di festa. Eppure c'è una tradizione caduta in disuso in Campania , ma che resiste ancora nella zona dell' Oltrepo' Pavese , che nasce nei quartieri popolari, dove il periodo natalizio si accompagnava alla necessità di arrangiarsi, trasformando ingredienti semplici in piatti carichi di significato. Il 'Cenone delle sette pietanze povere' È conosciuta come il ' Cenone delle sette pietanze povere ' e si consumava in particolare la sera del 31 dicembre , quando l'usanza prevede che non si mangi carne. Si preparavano quindi sette piatti molto semplici, tutti a base di ingredienti umili e contadini, come legumi, verdure, pane e frutta secca , evitando anche il pesce. Il '7' e il suo valore simbolico Il sette non è un numero casuale, ma ha un forte valore simbolico nella religione e, per i cattolici, rimanda ai giorni della Creazione, ai sacramenti, alle opere di misericordia, ai doni dello Spirito Santo, alle virtù teologali e cardinali. Invece delle ricche pietanze a base di pesce, alle fritture e ai dolci con zucchero e cioccolato, sulle tavole venivano serviti pane raffermo condito con olio e aglio, minestra di cicorie o scarole, zuppa di lenticchie o ceci, broccoli o cavolfiori lessi, frutta secca, olive e, per finire, un dolce povero, spesso a base di pane e miele. In alcune case si lasciava anche un piatto vuoto a tavola, per i defunti o per un simbolico viandante. Al di là delle ristrettezze economiche che non consentivano i fasti e l'abbondanza, si credeva che mangiare 'povero' aiutasse a iniziare l'anno nuovo con rispetto e gratitudine. Un rito che richiama l'umiltà e che racconta l'anima più intima e spirituale di Napoli.