Un gesto "mostruoso" ma "necessario". Così Lorena Venier ha definito la barbara uccisione di suo figlio Alessandro Venier , prima avvelenato e poi fatto a pezzi con un'accetta. Il corpo dell'uomo di 35 anni è stato poi nascosto sotto la calce nella cantina nella casa di Gemona , in provincia di Udine, dove mamma e figlio vivevano insieme alla compagna di lui, la colombiana Mailyn Castro Monsalvo , 30 anni e anche lei indagata. L'autrice materiale dell'assassinio però sembra essere la sola Lorena, stimata caposala nell'ospedale locale, e questo non può non sconvolgere proprio come le sue parole. La donna, per circa tre ore, ha parlato davanti al magistrato, spiegando nel dettaglio ciò che è accaduto. Una ricostruzione così circostanziata che ha portato la Procura a contestare l'aggravante della premeditazione . Il giorno dell'omicidio infatti non sarebbe casuale: Venier è morto alla vigilia della partenza per la Colombia, il luogo dove l'uomo aveva deciso di andare a vivere insieme a Mailyn e alla figlioletta che i due hanno avuto appena 6 mesi fa. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:43567709]] Una scelta non condivisa né dalla stessa Mailyn né da Lorena, secondo quanto riporta l'edizione friulana del Messaggero Veneto . Il movente, insomma, non sarebbe la semplice "ignavia" di cui era stato accusato in un primo momento l'uomo, che non aveva un lavoro, pesava sullo stipendio della madre e non collaborava alla gestione della casa. Il giornale riferisce ancora che la signora Venier non voleva perdere quella che ha definito con il magistrato " la figlia che non aveva mai avuto " e con la quale si era cementato un sentimento di forte affetto, ricambiato. Un affetto diventato alleanza soprattutto dopo la nascita della bimba. Chiarita, intanto, la dinamica dell'omicidio: Venier sarebbe stato dapprima stordito con una forte dose di farmaci (nella disponibilità della mamma e della compagna, a cui era stata diagnosticata una depressione post partum ) e poi soffocato con un cordino. Una volta morto sarebbe cominciata l'operazione di sezionamento del cadavere per occultarlo. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:43577067]] Il "patto" però ha retto per cinque giorni, poi giovedì mattina la giovane colombiana è passata accanto al bidone con i resti del compagno e ha deciso di chiamare il 112 per chiedere l'intervento delle forze dell'ordine, costituendosi. La donna è particolarmente provata: oggi pomeriggio doveva essere sottoposta, a propria volta, all'interrogatorio nel carcere di Trieste, ma è stata colta da malore e trasferita in ambulanza in ospedale. Le sue condizioni non sono gravi ma è guardata a vista - così come la suocera - per scongiurare gesti autolesionistici .