Mediobanca strapazza Generali per resistere alla scalata di Mps

Non è facile capire cosa stia frullando in queste ore nella testa di Alberto Nagel. Qualche tempo fa un banchiere di lungo corso come Fabrizio Palenzona, alla vigilia dell’assemblea del Leone, gli aveva consigliato di fare un passo indietro per salvaguardare due gioielli della finanza italiana come Mediobanca e Generali. Ieri, replicando al licenziamento ventilato dall’ad di Mps Luigi Lovaglio in caso di successo dell’Ops, il capo di Piazzetta Cuccia, da mesi irrequieto come non mai, ha voluto fare chiarezza. «La mia posizione», ha detto in un’intervista a Bloomberg, «è la cosa meno importante, quello di cui dobbiamo preoccuparci oggi è l'interesse degli azionisti». Bene. Si tratta solo di capire quali. Quel 7% del patto di consultazione con cui Nagel controlla di fatto Mediobanca e Generali o quel 40% e più che avrebbe votato no all’Ops difensiva lanciata su Banca Generali e che ha convinto il ceo ad evitare la conta con una serie di rocambolesche acrobazie? L’ultima fase del pasticcio esploso negli ultimi giorni è nata sostanzialmente lì, quando il manager si è reso conto che, malgrado gli esposti in procura, le segnalazioni alla Bce e gli appelli spesso ruvidi al mercato, l’ex pecora nera Monte dei Paschi avrebbe potuto davvero conquistare l’ex salotto buono della finanza. Ma i passi falsi sono cominciati ben prima. È bene ricapitolare i fatti. Il cda del Leone, che deve esprimersi sull’estensione della partnership con Banca Generali a Mediobanca, ma soprattutto sull’offerta nel suo complesso, è stato nominato da Piazzetta Cuccia appena 4 giorni prima (il 24 aprile) del lancio dell’Ops. È pensabile, ci si chiede, che ciò sia avvenuto senza che il presidente Sironi, l’ad Donnet e gli storici consiglieri espressione diretta di Mediobanca, Rebecchini e Pellicioli ne fossero stati messi a conoscenza? Anche perché la legittima dell’acquisto selettivo di azioni proprie (6,5% che il Leone riceverà se apporterà all'Ops il 51% che detiene in Banca Generali) non è così pacifica in base alle norme in materia finanziaria. Poi arriva il ballo delle assise. Per difendersi da Mps Mediobanca lancia l’Ops su Banca Generali e fissa una assemblea a giugno per farsi autorizzare. Poi però la rinvia a settembre una volta scoperto che forse non avrebbe ottenuto i consensi necessari. Infine, temendo che Mps possa spuntarla, decide di spostare ancora la data, anticipandola a fine agosto. Nel frattempo, incalza le Generali, sempre la compagnia di cui ha di fatto nominato i vertici, ad esprimersi in fretta sull’estensione decennale alla propria rete dell'attuale accordo di distribuzione delle polizze con Banca Generali, una proposta tra l’altro non transitata né dal comitato parti correlate né dal cda di Piazzetta Cuccia. Il Leone, ha intimato ieri Nagel, «sta ancora rivedendo la nostra proposta. Stiamo aspettando un riscontro che speriamo di ricevere entro il 6 agosto». Urgenza necessaria a consentire la convocazione dei soci per fare in modo, come ha spiegato l’ad, «che la nostra offerta per Banca Generali possa essere sul tavolo prima che quella di Mps si chiuda». Dopo aver messo in piedi questo intricato, bizantino e discutibile arrocco, ieri Nagel ha trovato anche il tempo di lamentarsi perché i governi europei ficcano troppo il naso nel risiko bancario («sta diventando uno standard che ostacola i consolidamenti»). Tutto sommato un abbassamento dei toni rispetto a quando, qualche settimana fa, aveva accusato Palazzo Chigi di aver truccato le carte ai danni di Mediobanca nella privatizzazione di Mps.