Irascibile e scatenata, bastonate a chiunque dissenta dalle sue stravaganti analisi. L'identikit è quello di Francesca Albanese, la papessa del movimento ProPal, spiazzata dagli accordi di pace di Sharm el-Sheikh e quindi ancora più nervosa. L'ultima sua vittima è l'editorialista Paolo Mieli, reo di aver detto cose non gradite nel salotto di Lilli Gruber, ad Otto e mezzo. Parte la rappresaglia, prima la relatrice delle Nazioni Unite condivide sui social la stroncatura di uno scrittore malese: “Paolo Mieli, con il suo linguaggio apparentemente moderato, perpetua la logica del dominatore che decide tempi, libertà e dignità degli oppressi”. Poi ci mette del suo: “In questi anni mi sono spesso chiesta come l'Italia fosse di colpo arrivata ad avere la stampa mainstream più sionista dell'Europa occidentale”. Insomma libertà di opinione, questa sconosciuta. Motivo del contendere è la sorte di Marwan Barghouti, il prigioniero palestinese che Israele si è rifiutata di liberare. Già perché il più influente esponente palestinese è anche condannato a cinque ergastoli, per altrettanti omicidi. Altro che “incarcerato ingiustamente per ragioni esclusivamente politiche”. Nonostante le ormai numerose intemperanze, la papessa delle Nazioni Unite continua a incontrare le simpatie della sinistra che l'ha in qualche modo eletta a sua interprete ufficiale. Soltanto ieri la vicesindaca di Bologna, Emily Marion Clancy, una sorta di clone di Elly Schlein, ha difeso a spada tratta la cittadinanza onoraria che la città degli Asinelli ha concesso alla sacra vestale pro Pal. “È la nuova regina della sinistra”, ironizza Tommaso Cerno, direttore del Tempo, “Bisognerà promuovere una manifestazione per la libertà contro questa nuova ondata di intolleranza”. Il Tempo, infatti, è nel mirino della Albanese, che ha bloccato sui social il quotidiano romano, d'altra parte fu proprio la papessa a identificare la condanna: “La propaganda progenocidio va indagata e punita". Al patibolo ci pensa lei.