"Ci sono storie che non finiscono, anche quando la giustizia dice che sei innocente. La mia è così. Viviamo in un mondo dove si censurano battute fatte verso le minoranze, ma si può facilmente rovinare la vita di un innocente e poi far finta di nulla". Questo lo sfogo di Raffaele Sollecito, coinvolto anni fa nel processo per la morte di Meredith Kercher a Perugia, che sui suoi profili social commenta i nuovi sviluppi dell'inchiesta sul delitto di Garlasco. "Lo sto vedendo di nuovo nel caso di Garlasco, e mi intristisce molto. Il marchio che mi porto addosso non è una colpa, è uno stigma. E quello non te lo toglie nessuna sentenza, nemmeno una di assoluzione. Di fatto - prosegue - oggi il politically correct difende tutto e tutti, tranne chi non ha fatto nulla. Ancora oggi mi sento costretto a dimostrare di non essere quello che hanno raccontato di me. Mi capita spesso di doverlo sentire, quando entro in un bar, quando vado a fare qualche commissione, quando leggo nello sguardo delle persone un pregiudizio o un atteggiamento di voler conoscere cose che in realtà non sanno di me". "In un mondo come questo - conclude - una sentenza di assoluzione non ti libera, ma spesso ti porta in una nuova prigione, quella del giudizio e dello sguardo delle persone", conclude Sollecito.