Signore e signori è successo: incredibile a dirsi. Dopo anni, anzi decenni, di retorica a sinistra sull'accoglienza (senza e senza ma) arriva come un drone dal cielo la «bomba». Già, perché dopo tonnellate di melassa buonista spalmata in ogni dove, succede che il primo a dire una cosa di buon senso non è un dirigente del Partito Democratico né uno dei tanti opinionisti progressisti, ma l'onorevole Aboubakar Soumahoro. Proprio lui, l'ex attivista dei campi, divenuto simbolo di un disprezzabile radicalismo umanitario, ieri alla Camera ha detto ciò che la sinistra non ha mai avuto il coraggio di dire (Marco Minniti ha sempre fatto eccezione): non si può affrontare il tema dell'immigrazione dicendo che dobbiamo fare spazio a tutti qui. Le sue parole, pronunciate all'evento «Il diritto di restare» il 16 ottobre, segnano un punto di svolta. Soumahoro spiega che la vera soluzione è investire nei Paesi d'origine, creare lavoro in Africa, consentire alle persone di costruire la propria vita dove sono nate. E, soprattutto, offrire a chi è già arrivato in Europa la possibilità e la dignità di tornare a casa. Un discorso che avrebbe potuto fare un ministro di centrodestra, ma non lo ha fatto nessuno a sinistra. La segretaria del Pd Elly Schlein - che pure parla spesso di diritti e di accoglienza - non ha mai osato dire che accogliere tutti non è possibile. Soumahoro invece sì. Ha parlato di «diritto di restare» e di «diritto di rientro», introducendo un principio di realismo che mancava da anni nel dibattito progressista. Allora dobbiamo parlare chiaro: se persino Soumahoro riconosce che l'immigrazione va gestita con equilibrio, che non si può trasformare l'Italia nel terminale permanente delle migrazioni globali, allora qualcosa si è rotto nella retorica della sinistra. Per anni hanno insultato che chiunque mettesse in dubbio la bontà dell'accoglienza illimitata. Oggi scopriamo che proprio uno dei simboli di quell'accoglienza dice che bisogna cambiare strada: investire in Africa, creare sviluppo, dare strumenti per restare o per tornare. È la conferma che la politica dei porti aperti, delle sanatorie e delle illusioni è stata un fallimento epocale. Non ha risolto nulla, ha solo moltiplicato le tensioni e la disperazione. E allora due cose debbono accadere, la prima a sinistra e la seconda a destra. Dalle parti di Elly Schlein e del campo largo deve partire un ampio e doloroso percorso di autocritica, per costruire finalmente un progetto politico realista in materia. Dalle parti di Giorgia Meloni occorre spingere l'acceleratore (penso ai centri in Albania, che sono la strada giusta), perché non c'è motivo di agire con timidezza. È talmente evidente, che l'ha capito anche Soumahoro.