I chiari segnali ignorati prima del femminicidio di Pamela: dito rotto e codice rosso non attivato

Che la relazione tra Pamela Genini, la ragazza uccisa martedì scorso in via Iglesias a Milano, e Gianluca Soncin fosse tossica lo si poteva capire da un evento capitato il 4 settembre del 2024. La giovane si presentò all'ospedale di Seriate con un dito rotto dopo un'aggressione ad opera del compagno. Pamela, racconta il Corriere della Sera, lamenta dolore a una mano. In pronto soccorso ci resterà per 5 ore. Il triage segnala “priorità: 2 urgenza”. Motivo dell'accesso: “abuso maltrattamento violenza di genere/fragilità”. A quel punto scattano le procedure del caso. Le viene sottoposto il questionario che si chiama “Brief Risk Assessment”. Le linee guida del ministero della Salute sono chiare: “La risposta positiva a 3 delle 5 domande è segno di elevato rischio di reiterazione della violenza e richiede l'attivazione della protezione”. La 29enne risponderà “Sì” a quattro quesiti su cinque. L'unico “no” riguardava una domanda sulla gravidanza. Ma il codice rosso non scatta. La visita inizia alle 10.33. I sanitari, dopo aver raccolto la sua versione, avviarono la procedura prevista in questi casi. Il racconto della giovane è preciso: “Riferisce ieri sera aggressione fisica da parte del compagno non convivente Gianluca Soncin”, che lei dice essere paziente psichiatrico in terapia, “buttata a terra e colpita alla testa con pugni, trascinata poi per i capelli per diversi metri. Inoltre ha lanciato oggetti addosso provocandole un trauma al IV dito mano dx. Plurimi graffi agli arti inferiori. Le strappava una ciocca di capelli. Nega violenza sessuale in questa occasione, avvenuta però in passato”. Questa è la sua ricostruzione della lite del giorno prima, avvenuta a casa di lui. Proprio a causa di quella lite arrivarono anche i carabinieri di Cervia (Ravenna). “Intervenute le forze dell'ordine ma non effettuata denuncia — registra il documento —. Il tutto è avvenuto presso la casa dell'accusato in altra regione a Cervia, dove la paziente si è recata autonomamente. Non primo episodio. Numerose minacce verbali e via sms. Mai effettuati precedenti accessi. Negli ultimi mesi frequenti episodi di violenza reiterata”. Non scatta il codice rosso. Inizia, così, l'iter codificato per questi casi. Alle ore 14.08: viene compilato il test. Visto l'esito, con 4 risposte affermative su 5, vengono allertate forze dell'ordine così come previsto dal protocollo dopo aver ricevuto il consenso della paziente. Circa 30 minuti dopo viene eseguita una visita traumatologica. Sono presenti i carabinieri di Seriate. La prognosi per la ragazza è di 20 giorni. Passa circa un'altra ora e la giovane effettua il colloquio con le forze dell'ordine. Nel verbale sanitario comparve una frase: “Non vi è indicazione ad attivazione del codice rosso”. Da quel momento, per la procedura ci sono passaggi burocratici e competenze territoriali. I carabinieri di Seriate acquisiscono il referto e lo inoltrano ai colleghi di Cervia per competenza (la località dove c'è stata la lite il 3 settembre). Questi ultimi trasmettono a loro volta a Seriate l'annotazione dell'intervento in casa del 3 settembre, chiedendo ai colleghi bergamaschi di sentire la 29enne e raccoglierne la denuncia. Ma la ragazza si rifiuta di formalizzarla. L'episodio viene segnalato come “presunta violenza di genere” nel sistema informativo delle forze dell'ordine. Non viene, però, inserito nella piattaforma “Scudo”, lo strumento usato per monitorare i casi a rischio anche in assenza di denuncia da parte della vittima. Nessun atto verrà trasmesso alle procure di Bergamo e Ravenna, per approfondire il caso e valutare l'attivazione del “codice rosso”. E di conseguenza non saranno coinvolte le questure per attuare le misure preventive.