Arresto Hannoun, il pm: "L'indagine non cancella i crimini di guerra ai danni dei palestinesi"

Sui social qualcuno ha fatto questo paragone con gli Anni di piombo: «Un po’ come se avessero detto: “Abbiamo arrestato membri delle Brigate Rosse, ma ciò non inficia le legittime aspirazioni alla lotta di classe”». Il soggetto sono i due magistrati che hanno guidato l’operazione che ha portato all’arresto delle nove persone accusate di aver messo in piedi la “rete italiana di Hamas”: il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo, e il capo della procura di Genova, Nicola Piacente. A far discutere, anche la politica, è la chiosa della nota con la quale danno conto dei primi risultati dell’inchiesta: «Le indagini e i fatti attraverso esse emersi non possono in alcun modo togliere rilievo ai crimini commessi ai danni della popolazione palestinese successivamente al 7 ottobre 2023 nel corso delle operazioni militari intraprese dal governo di Israele». Un giudizio politico, di merito, sull’azione dell’esecutivo di Benjamin Netanyhau, che nulla c’entra con le indagini. Un unicum, a ben guardare, come non manca di far notare Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato: «Comportamento incredibile: Melillo appare come un capo politico e non come il capo di una procura antimafia». I due magistrati, a sostegno del loro giudizio politico di censura sull’operato di Gerusalemme, citano nientemeno che l’operato della Corte penale internazionale, presso la quale è pendente un’inchiesta sui presunti crimini di guerra commessi da Israele. La Corte, infatti, il 22 novembre del 2024 ha spiccato un mandato di arresto nei confronti dello stesso Netanyhau e dell’allora ministro della Difesa, Yoav Gallant, appunto per presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45590943]] È a quelle mosse che si riferiscono Melillo e Piacente quando scrivono che Israele è in attesa della pronuncia della Corte, «da rendersi in conformità allo Statuto di Roma, ratificato da 125 Stati membri, fra i quali, in un ruolo di impulso e sostegno, l’Italia» (e qui non è difficile leggere un tentativo di coprirsi le spalle e di forzare la mano al governo, nonostante la presa di posizione pubblica del nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, contro gli arresti). «Tali crimini», ribadiscono Melillo e Piacente, «non possono giustificare gli atti di terrorismo (compresi quelli del 7 ottobre 2023) compiuti da Hamas e dalle organizzazioni terroristiche a questa collegate». Anche se commessi, questi atti, «nel contesto di conflitti armati» e in territori che, «in base al diritto internazionale, devono ritenersi illegittimamente occupati». [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45591028]] Insomma, al netto di quella parola, «crimini», appiccicata sullo Stato di Israele prima ancora dell’emissione del giudizio della pur discutibile Corte penale internazionale- di cui Gerusalemme, va ricordato, non ha mai ratificato lo Statuto di Roma -, i due magistrati si abbandonano a giudizi sulla crisi in Medio Oriente prendendo palesemente le parti dei palestinesi (emblematico il riferimento ai «territori illegittimamente occupati»). Da qui l’ira di Gasparri: «La procura antimafia è un luogo che spesso favorisce epiloghi politici. Abbiamo visto le gesta dei suoi predecessori (il bersaglio è Melillo, ndr) che si sono tutti candidati nel Parlamento nazionale o in quello europeo con la sinistra». [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45591795]] Le parole dei due magistrati su Israele, basta fare un giro sui social per rendersene conto, hanno irritato le comunità ebraiche italiane. Del resto un paio di settimane fa, dopo la decisione della Cpi di respingere il ricorso di Gerusalemme contro l’indagine sui presunti crimini di guerra, il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, ha accusato la Corte dell’Aja di muoversi con finalità politiche, denunciando la «palese mancanza di rispetto per i diritti sovrani degli Stati non membri. Ecco cosa significa politica sotto le spoglie del “diritto internazionale”».