Bimbo di 7 anni colpito da proiettile in piazza la Vigilia di Natale: portato al Santobono di Napoli
Un bimbo di 7 anni colpito da un proiettile al braccio in piazza a Pomigliano. Trasportato al Santobono. Continua a leggere
Un bimbo di 7 anni colpito da un proiettile al braccio in piazza a Pomigliano. Trasportato al Santobono. Continua a leggere
Previsioni meteo favorevoli, resta l'attenzione sulle piene dei fiumi
Città del Vaticano, 25 dic. (Adnkronos) - Ucraina e Russia devono dialogare. E basta odio e violenza, pratichiamo la pace. Sono state le parole di Leone XIV all'Urbi et Orbi oggi 25 dicembre davanti a 26mila persone. “Preghiamo in modo particolare per il martoriato popolo ucraino: si arresti il fragore delle armi e le parti coinvolte, sostenute dall'impegno della comunità internazionale, trovino il coraggio di dialogare in modo sincero, diretto e rispettoso”, è stato l'accorato appello del Papa per il quale “possiamo e dobbiamo fare ognuno la propria parte per respingere l'odio, la violenza, la contrapposizione e praticare il dialogo, la pace, la riconciliazione”. “Non lasciamoci vincere dall'indifferenza verso chi soffre, perché Dio non è indifferente alle nostre miserie”, ha detto il Pontefice nel messaggio di Natale all'Urbi et Orbi, rivolgendo la sua attenzione a tutte le sofferenze umane: “Nel farsi uomo, Gesù assume su di sé la nostra fragilità, si immedesima con ognuno di noi: con chi non ha più nulla e ha perso tutto, come gli abitanti di Gaza; con chi è in preda alla fame e alla povertà, come il popolo yemenita; con chi è in fuga dalla propria terra per cercare un futuro altrove, come i tanti rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono il Continente americano; con chi ha perso il lavoro e con chi lo cerca, come tanti giovani che faticano a trovare un impiego; con chi è sfruttato, come i troppi lavoratori sottopagati; con chi è in carcere e spesso vive in condizioni disumane”. Ai fedeli radunati in piazza San Pietro e a quanti lo hanno ascoltato attraverso la radio e la televisione, dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana il Pontefice ha inviato l'augurio natalizio in dieci lingue. Il “Buon Natale! La pace di Cristo regni nei vostri cuori e nelle vostre famiglie” è stato ripetuto da Leone in italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese, polacco, arabo, cinese, latino. E ha concesso l'indulgenza plenaria pronunciando la formula latina. Quindi, l'esecuzione dell'inno vaticano e di quello italiano. “Al cuore di Dio - osserva Leone - giunge l'invocazione di pace che sale da ogni terra, come scrive un poeta: ‘Non la pace di un cessate-il-fuoco, nemmeno la visione del lupo e dell'agnello, ma piuttosto come nel cuore quando l'eccitazione è finita e si può parlare solo di una grande stanchezza. Che venga come i fiori selvatici, all'improvviso, perché il campo ne ha bisogno: pace selvatica'. In questo giorno santo, apriamo il nostro cuore ai fratelli e alle sorelle che sono nel bisogno e nel dolore”. "Come non pensare alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, e a quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente, o ai ripari di fortuna di migliaia di persone senza dimora, dentro le nostre città?”. Il Papa ha sferzato le coscienze in un passaggio dell'omelia pronunciata nella messa di Natale a San Pietro. “Fragile è la carne delle popolazioni inermi, provate da tante guerre in corso o concluse lasciando macerie e ferite aperte. Fragili - riflette Leone XIV durante l'omelia - sono le menti e le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l'insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna di cui sono intrisi i roboanti discorsi di chi li manda a morire”. Tanti fratelli e sorelle “spogliati della dignità e ridotti al silenzio”, ha detto ancora. “‘Carne è la radicale nudità cui a Betlemme e sul Calvario manca anche la parola; come parola non hanno tanti fratelli e sorelle spogliati della loro dignità e ridotti al silenzio. La carne umana - scandisce Leone - chiede cura, invoca accoglienza e riconoscimento, cerca mani capaci di tenerezza e menti disposte all'attenzione, desidera parole buone”. Il Pontefice spiega “il modo paradossale in cui la pace è già fra noi: il dono di Dio è coinvolgente, cerca accoglienza e attiva la dedizione. Ci sorprende perché si espone al rifiuto, ci incanta perché ci strappa all'indifferenza”. “È un vero potere quello di diventare figli di Dio: un potere - dice - che rimane sepolto finché stiamo distaccati dal pianto dei bambini e dalla fragilità degli anziani, dal silenzio impotente delle vittime e dalla rassegnata malinconia di chi fa il male che non vuole”. “Quando la fragilità altrui ci penetra il cuore, quando il dolore altrui manda in frantumi le nostre certezze granitiche, allora già inizia la pace. La pace di Dio nasce da un vagito accolto, da un pianto ascoltato: nasce fra rovine che invocano nuove solidarietà, nasce da sogni e visioni che, come profezie, invertono il corso della storia”, sottolinea il Pontefice che osserva:. “Tutto questo esiste, perché Gesù è il senso da cui tutto ha preso forma. Questo mistero ci interpella dai presepi che abbiamo costruito, ci apre gli occhi su un mondo in cui la Parola risuona ancora, 'molte volte e in diversi modi', e ancora ci chiama a conversione”. “Certo - fa notare Leone - il Vangelo non nasconde la resistenza delle tenebre alla luce, descrive il cammino della Parola di Dio come una strada impervia, disseminata di ostacoli. Fino a oggi gli autentici messaggeri di pace seguono il Verbo su questa via, che infine raggiunge i cuori: cuori inquieti, che spesso desiderano proprio ciò a cui resistono”. Il Papa ha citato il predecessore in un passaggio della Evangelii Gaudium : "Come scrisse l'amato Papa Francesco, per richiamarci alla gioia del Vangelo: ‘A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l'esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza'”.
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Leone XIV, nel primo messaggio di Natale, del pontificato si immedesima con gli ultimi, come Cristo a suo tempo. "Nel farsi uomo, Gesù assume su di sé la nostra fragilità, si immedesima con ognuno di noi: con chi non ha più nulla e ha perso tutto, come gli abitanti di Gaza; con chi è in preda alla fame e alla povertà, come il popolo yemenita; con chi è in fuga dalla propria terra per cercare un futuro altrove, come i tanti rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono il Continente americano; con chi ha perso il lavoro e con chi lo cerca, come tanti giovani che faticano a trovare un lavoro con chi e' sfruttato, come i troppi lavoratori sottopagati", afferma dalla Loggia delle Benedizioni della basilica di San Pietro. Ad ascoltarla, in una Roma bagnata dalla pioggia, ventiseimila fedeli. Giunti da ogni parte del globo. E così, quando ripristina il saluto nelle diverse lingue del mondo, tanto caro a Giovanni Paolo II ma che Francesco aveva abbandonato, fioccano gli applausi. E, tra le molte lingue, non dimentica l'arabo e il cinese, attendere la mano a culture lontanissime dal sentire cristiano. Poi la Benedizione Urbi et Orbi, "alla città e al mondo". Ma prima, un viaggio nella memoria per ricordare le tante guerre, dell'Ucraina a Gaza, dal Sudan alla Cambogia, che devono finire. "Con una pace duratura, non con una tregua", ci tiene a sottolineare il Pontefice. Che venga come i fiori selvatici, all'improvviso, perché il campo ne ha bisogno: una pace selvatica", dice citando Yehuda Amicha, poeta israeliano, ma cresciuto in Palestina. "In questo giorno santo - invoca Papa Leone - apriamo il nostro cuore ai fratelli e alle sorelle che sono nel bisogno e nel dolore. Così facendo lo apriamo al Bambino Gesù, che con le braccia aperte ci accoglie e dischiude a noi la sua divinità: a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio'". "A giorni - annuncia - terminerà l'Anno giubilare. Si chiuderanno le Porte Sante, ma Cristo, nostra speranza, rimane sempre con noi! Egli è la Porta sempre aperta, che ci introduce nella vita divina. È il lieto annuncio di questo giorno: il Bambino che è nato, è il Dio fatto uomo; egli non viene per condannare, ma per salvare; la sua non è un'apparizione fugace, Egli viene per restare e donare sé stesso. In Lui ogni ferita è risanata e ogni cuore trova riposo e pace. Il Natale del Signore è il Natale della pace". "Non lasciamoci vincere dall'indifferenza verso chi soffre, perché Dio non è indifferente alle nostre miserie", insiste. "Il Bambino Gesù ispiri quanti in America Latina hanno responsabilità politiche, perché, nel far fronte alle numerose sfide, sia dato spazio al dialogo per il bene comune e non alle preclusioni ideologiche e di parte. Al Principe della Pace domandiamo che illumini il Myanmar con la luce di un futuro di riconciliazione: ridoni speranza alle giovani generazioni, guida l'intero popolo birmano su sentieri di pace e accompagnamenti quanti vivono privi di dimora, di sicurezza o di fiducia nel domani. A Lui chiediamo che si restauri l'antica amicizia tra Thailandia e Cambogia e che le parti coinvolte continuino ad operarsi per la riconciliazione e la pace". E prima della benedizione, nonostante la pioggia, Leone XIV non ha voluto rinunciare ad un giro in piazza San Pietro sulla Papamobile per raccogliere il caloroso abbraccio dei fedeli.
Leone XIV, nel primo messaggio di Natale, del pontificato si immedesima con gli ultimi, come Cristo a suo tempo. "Nel farsi uomo, Gesù assume su di sé la nostra fragilità, si immedesima con ognuno di noi: con chi non ha più nulla e ha perso tutto, come gli abitanti di Gaza; con chi è in preda alla fame e alla povertà, come il popolo yemenita; con chi è in fuga dalla propria terra per cercare un futuro altrove, come i tanti rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono il Continente americano; con chi ha perso il lavoro e con chi lo cerca, come tanti giovani che faticano a trovare un lavoro con chi e' sfruttato, come i troppi lavoratori sottopagati", afferma dalla Loggia delle Benedizioni della basilica di San Pietro. Ad ascoltarla, in una Roma bagnata dalla pioggia, ventiseimila fedeli. Giunti da ogni parte del globo. E così, quando ripristina il saluto nelle diverse lingue del mondo, tanto caro a Giovanni Paolo II ma che Francesco aveva abbandonato, fioccano gli applausi. E, tra le molte lingue, non dimentica l'arabo e il cinese, attendere la mano a culture lontanissime dal sentire cristiano. Poi la Benedizione Urbi et Orbi, "alla città e al mondo". Ma prima, un viaggio nella memoria per ricordare le tante guerre, dell'Ucraina a Gaza, dal Sudan alla Cambogia, che devono finire. "Con una pace duratura, non con una tregua", ci tiene a sottolineare il Pontefice. Che venga come i fiori selvatici, all'improvviso, perché il campo ne ha bisogno: una pace selvatica", dice citando Yehuda Amicha, poeta israeliano, ma cresciuto in Palestina. "In questo giorno santo - invoca Papa Leone - apriamo il nostro cuore ai fratelli e alle sorelle che sono nel bisogno e nel dolore. Così facendo lo apriamo al Bambino Gesù, che con le braccia aperte ci accoglie e dischiude a noi la sua divinità: a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio'". "A giorni - annuncia - terminerà l'Anno giubilare. Si chiuderanno le Porte Sante, ma Cristo, nostra speranza, rimane sempre con noi! Egli è la Porta sempre aperta, che ci introduce nella vita divina. È il lieto annuncio di questo giorno: il Bambino che è nato, è il Dio fatto uomo; egli non viene per condannare, ma per salvare; la sua non è un'apparizione fugace, Egli viene per restare e donare sé stesso. In Lui ogni ferita è risanata e ogni cuore trova riposo e pace. Il Natale del Signore è il Natale della pace". "Non lasciamoci vincere dall'indifferenza verso chi soffre, perché Dio non è indifferente alle nostre miserie", insiste. "Il Bambino Gesù ispiri quanti in America Latina hanno responsabilità politiche, perché, nel far fronte alle numerose sfide, sia dato spazio al dialogo per il bene comune e non alle preclusioni ideologiche e di parte. Al Principe della Pace domandiamo che illumini il Myanmar con la luce di un futuro di riconciliazione: ridoni speranza alle giovani generazioni, guida l'intero popolo birmano su sentieri di pace e accompagnamenti quanti vivono privi di dimora, di sicurezza o di fiducia nel domani. A Lui chiediamo che si restauri l'antica amicizia tra Thailandia e Cambogia e che le parti coinvolte continuino ad operarsi per la riconciliazione e la pace". E prima della benedizione, nonostante la pioggia, Leone XIV non ha voluto rinunciare ad un giro in piazza San Pietro sulla Papamobile per raccogliere il caloroso abbraccio dei fedeli.
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