Garlasco, "alterato il 78% dei file": la mano che ha sabotato l'inchiesta?

Garlasco, "alterato il 78% dei file": la mano che ha sabotato l'inchiesta?

File copiati, aperti, modificati e cancellati quando l’indagine era appena iniziata. È questo uno degli elementi che emerge con più forza nelle prime ore successive all’omicidio di Chiara Poggi , avvenuto a Garlasco nell’agosto del 2007, quando l’attenzione degli investigatori si concentrò subito sui computer, con conseguenze rilevanti sul piano delle prove digitali. Come ricostruisce Il Giorno , già il 14 agosto, a poco più di 24 ore dal ritrovamento del corpo, i carabinieri sequestrarono i pc della famiglia Poggi e quello di Alberto Stasi . I dispositivi finirono al Nucleo operativo di Pavia, guidato dal colonnello Giancarlo Sangiuliano , con l’incarico di “metterli a disposizione dell’autorità giudiziaria”. In realtà, i computer vennero analizzati e utilizzati quasi immediatamente. Il primo a essere esaminato fu il portatile di Stasi, maneggiato senza particolari cautele . I militari copiarono alcuni file, tra cui la tesi di laurea, e visionarono diversi video. In una cartella denominata “militare” furono trovati quattro file: uno pornografico e tre contenenti immagini intime della coppia. Contenuti simili, ma assemblati in modo differente, erano presenti anche nel computer di Chiara. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45590941]] Secondo i tecnici, quelle operazioni lasciarono tracce significative. “ La portata delle alterazioni è quantificabile nel 73,8% dei file visibili (oltre 56 mila) , con riscontri di accessi su oltre 39 mila file, interventi su più di 1.500 e creazione di oltre 500 file”. I periti del gup Stefano Vitelli segnalarono anche la “cancellazione del contenuto del cestino”, definita un’azione “consapevole” che fece sparire dati potenzialmente rilevanti. Le verifiche proseguirono sul pc fisso della famiglia Poggi. L’obiettivo, scrive Il Giorno , era “ capire se lo stesso materiale pornografico fosse conservato ” anche lì, ipotizzando un possibile movente passionale. Il computer venne analizzato in due sessioni il 14 agosto. In questo caso, “l’azione fu meno demolitiva”, consentendo di preservare tracce che solo anni dopo avrebbero assunto rilievo, come un video scolastico in cui compariva Andrea Sempio, allora passato inosservato. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45593480]]

Così Praga resiste ai burosauri europei

Così Praga resiste ai burosauri europei

Non ancora nella lista dei “cattivi”, come l’Ungheria e l’appena poco più defilata Polonia dove c’è però Donald Tusk a fare da garante, la Repubblica Ceca è guardata con sospetto dai burosauri dell’Ue dopo il pasticciaccio di Bruxelles sugli asset russi. I cechi hanno per presidente della Repubblica il generale Petr Pavel, ex militare dei tempi del Patto di Varsavia, abilissimo a riconvertirsi al nuovo corso democratico segnato da Vaclav Havel, e da poche settimane ha al governo un uomo d’affari come Andrej Babiš, peraltro non nuovo a quest’esperienza. Nella patria dell’umorismo dissacrante di Jaroslav Hašek, si dice tra una birra e l’altra che in Repubblica Ceca la destra fa politiche di sinistra e la sinistra ha idee di destra. Figurarsi se questo può essere compreso in Italia dove tutto è radicalizzato e manicheo, oppure a Bruxelles dove le solite sinistre già sventolano i lenzuoli degli spettri dei Quattro di Visegrad dopo le perplessità sulle manovre attorno agli asset, puntualmente rivelatesi come velleitarie, e l’allergia da sempre ad allargare le maglie della cosiddetta accoglienza dei migranti che non è né spontanea né volontaria, figurarsi se può essere imposta. Sarà un caso ma a Praga le stazioni sono sicure senza presidio dell’esercito con autoblindo, non risultano assalti alle ragazze sole né nelle metropolitane né alle fermate dei tram, il femminicidio non è un’emergenza e la cronaca nera non apre i giornali. E poi, udite udite, i talk show politici non si moltiplicano per sporogonia sui canali tv e di solito quando qualcuno parla prima di replicare lo si ascolta. Da noi si sostiene, a sinistra, che è il retaggio dell’epoca comunista (tacendo che allora era meglio non parlare e i dibattiti politici erano a senso unico), oppure dell’educazione asburgica (l’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo che scolarizzò la Boemia qui è ancora venerata). Sfuggire alla classificazione e ai luoghi comuni che sclerotizzano le visioni monodirezionali dell’Ue è sin troppo semplice, in uno Stato che ancora viene considerato semiateo ma dove ci sono quattro chiese cristiane: cattolica, protestante, hussita, ortodossa, e cinque se si considera quella uniate ucraina. E poi gli ebrei, che qui hanno fatto la storia. Non ci sono contrasti religiosi e l’Islam è stato tenuto fuori. Gli ucraini sono dappertutto, forse troppi rispetto alla popolazione di Boemia, Moravia e Slesia, poco meno di 11 milioni di anime che hanno assorbito l’onda di centinaia di migliaia in fuga dalla guerra scatenata da Putin. Solidarietà, accoglienza, persino privilegi, e oggi anche il fiato corto di una situazione che, quando i cannoni cesseranno di tuonare, è probabile che si stabilizzerà, non col rientro. Che il provvisorio possa diventare il definitivo è un timore palpabile, e la stanchezza per la guerra che si protrae oltre il prevedibile anche, con tutte le ricadute sociali ed economiche. Il costo della vita, per le politiche energetiche, quelle comunitarie e quelle dettate dalle circostanze, è aumentato e non solo nella capitale sotto assedio turistico con ovvie impennate dei prezzi e boom del costo degli affitti. La corona ceca è solida quanto basta per scansare le tentazioni di ingresso nell’euro, altro che Bulgaria. Che Praga, con 4 centrali atomiche di progettazione e tecnologia nazionale, sia refrattaria al delirio green sta nella natura delle cose e nello spirito ceco. La Škoda, marchio che nello spezzatino operativo va dalle auto ai treni (e ai tempi dell’impero austroungarico ai formidabili cannoni che poi gli italiani usarono anche nella seconda guerra mondiale), ha prodotto e venduto due volte le vetture dell’ex Gruppo Fiat. Per trovare ancora una Trabant fumante sulle strade ceche, dominate da suv modernissimi di grossa cilindrata, ci vuole un colpo di fortuna o un raduno di nostalgici poi in birreria a sbicchierare. La legge sull’alcool è riassumibile così: se bevi non guidi, se guidi non bevi. Vale anche contro le ubriacature europeiste.

Luca Dirisio: “Spremuto nel pieno del successo, a Sanremo fui snaturato. Oggi voglio rialzarmi con nuova musica”

Luca Dirisio: “Spremuto nel pieno del successo, a Sanremo fui snaturato. Oggi voglio rialzarmi con nuova musica”

Il cantautore, che ha da poco pubblicato il brano ‘È tutto fragile’, ripercorre in un'intervista a Fanpage.it la sua carriera, dal successo esplosivo a Sanremo, passando anche per esperienze come L'Isola dei Famosi: “Sono appagato. La maturità ti regala anche la capacità di ascoltare di più. La critica non mi è mai interessata”. Continua a leggere

Massimo Giannini, la sinistra divide gli intellettuali di destra in buoni e cattivi

Massimo Giannini, la sinistra divide gli intellettuali di destra in buoni e cattivi

È una vecchia strategia: se non puoi sconfiggere il nemico perché è più forte dite, o perché non hai idee spendibili, prova a dividerlo e a delegittimarlo. Dopo l’articolo con cui Marcello Veneziani esprimeva un giudizio poco generoso su quanto fatto finora dalla destra, e soprattutto dopo le prese di posizione e gli interventi di altri intellettuali ascrivibili a quell’area politico-culturale, a sinistra si ripropone in questi giorni lo stilema del divide et impera, seppure con una novità: si prova a dividere il nemico nel campo culturale e non in quello strettamente politico. Un esempio è l’editoriale con cui Massimo Giannini ieri su Repubblica ha diviso gli intellettuali di destra in “buoni” e cattivi”, a seconda che si siano schierati nella polemica che è seguita all’articolo di Veneziani con lui o contro di lui. Ecco allora che, fra i primi, troviamo Franco Cardini, Giordano Bruno Guerri e persino un Mario Giordano che, dopo tanti attacchi ricevuti da sinistra, viene ora definito uno “spirito libero”. Ed ecco che fra i “cattivi” viene annoverato “persino” Giuliano Ferrara che ha parlato a proposito di Veneziani di “nannimorettismo”. L’impresa di dividere gli intellettuali di destra è a dir poco vana e per un semplice motivo: la destra culturale è già da sempre divisa per conto suo. Ognuno degli intellettuali di destra ha sue idee, opinioni, sensibilità, e non ama intrupparsi e confondersi con altri. Questo esibito e vissuto pluralismo è però, a ben vedere, un merito e non un limite, ciò che veramente distingue la destra culturale dalla sua controparte. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45348588]] La destra non può esercitare una egemonia culturale come quella che ha esercitato la sinistra per tanti anni perché l’intellettuale che fa riferimento a questa parte politica ragiona con la propria testa, separa la cultura dalla politica, non sacrifica le proprie idee per fare gruppo e seguire una dottrina ufficiale stabilita da un partito o da una qualsiasi altra agenzia politico-culturale di riferimento. Il collante è proprio l’idea che in ambito culturale non debba esserci egemonia di sorta, che non si sta al governo per sostituire una egemonia all’altra ma per aprire porte e finestre e far respirare un po’ di aria pulita alle asfittiche stanze ove si produce cultura. Perché senza questa aria fresca, senza pluralismo di visioni del mondo, senza libertà, la cultura semplicemente non è. «Qual è la svolta culturale che segna il cambio d’epoca?», si chiede Giannini. Ma siamo proprio sicuri che una destra al governo in una democrazia debba realizzare una “svolta culturale” e non amministrare bene, favorire cioè l’interesse generale odi tutti e non semplicemente quello di una parte? E siamo sicuri che se la destra avesse fatto questo, imitando le cattive pratiche della sinistra, casomai stilando liste di proscrizione al contrario, cioè escludendo e non includendo, la sinistra non sarebbe insorta al grido del “ritorno al fascismo”. I tempi del Minculpop sono ben lontani per questa destra al governo, forse un po’ meno per certa sinistra intellettuale che vorrebbe continuare a far parlare solo chi è a lei gradito. Che il doppiopesismo sia poi l’abito predominante a sinistra lo dimostra l’accusa rivolta a destra di considerare la Rai e gli altri enti culturali un “poltronificio”, cioè di praticare una prassi che la sinistra ha praticato per decenni. La realtà è ben diversa: quegli enti sono sempre in mano a un’intellettualità di sinistra, spesso tanto chiusa da non tollerare intrusioni nel suo “cerchio magico”. Essa è abituata a far coincidere la “competenza” con l’“appartenenza” (vedi il caso Venezi). Su un punto però Giannini ha ragione: a sinistra «non c’è più il Pci di Berlinguer, che organizzava gli stati generali della cultura convocando intellettuali di ogni ordine e grado». [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45370071]] A non esserci più è cioè l’egemonia culturale intesa come un rigido sistema che teneva uniti gli intellettuali ad un progetto culturale elaborato in sede politica e che li faceva “organici” al Partito. Ciò che è rimasto è però l’egemonia intesa come semplice occupazione di posti di potere, come ricerca del potere per il potere, fosse pure nel dopo tutto “secondario” (per i canoni odierni) ambito culturale. Ecco che allora se non appartieni al circolo degli amici, se non ti riconosci o sei riconosciuto nel e dal gruppo, sei ancora oggi messo da parte, dimenticato, reso irrilevante. Quanto alla cultura essa è stata sostituita a sinistra da slogan che servono per riconoscersi, non vissuti ma ripetuti pappagallescamente.