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Voti e giudizi alla squadra degli arbitri della partita pareggiata tra ducali e rossoneri
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Se non ci fossero di mezzo oltre 4500 famiglie che rischiano di restare senza un tetto sulla testa, a sentire le parole pronunciate ieri dal sindaco di Milano Beppe Sala, ci sarebbe da farsi più di una domanda. Ma visto che queste famiglie ci sono e sono reali, ci accontentiamo di dire a Sala: meglio tardi che mai. L’argomento è il caos urbanistica; l’inchiesta che ha bloccato oltre 150 cantieri nella capitale economica d’Italia; e l’annosa diatriba sulla cosiddetta legge “Salva Milano”, più volte avanzata dal centrodestra, ma sempre avversata dalla sinistra e, a corrente alterna, dallo stesso Sala. Bene, ieri, dopo l’ennesima manifestazione di protesta dell’associazione che raggruppa le famiglie in attesa che le inchieste sblocchino i lavori per le loro case, il sindaco di Milano ha pronunciato parole di apparente buonsenso: «Serve una norma nazionale, perché queste problematiche si stanno già generando e si genereranno anche in altre città italiane». Sala prova a indicare anche la soluzione, se così si può chiamare: la nuova legge «non chiamiamola più “Salva Milano”, perché è stata un’esperienza da dimenticare, non apprezzabile da nessun punto di vista, per nessuno dei protagonisti, noi compresi. Ma una norma serve - ha ribadito Sala - anche per dare una risposta strutturale a un problema che riguarda non solo Milano, ma il Paese». Due le annotazioni che vengono immediatamente alla mente leggendo queste dichiarazioni. La prima è che non ci risulta esistano altre situazioni paragonabili per dimensioni a quella di Milano, ma vabbè. La seconda, la più dirimente, è quella che finalmente anche il sindaco sembra aver capito che non si può più cincischiare (come accaduto per San Siro), perché qui non c’è in ballo solo una questione politica, ma anche se non soprattutto, una questione umana e sociale: la tutela di chi in quei cantieri bloccate dalle inchieste ha investito tutti i risparmi di una vita e magari si è pure indebitato. E poi c’è una questione economica, perché bloccare quei cantieri costerebbe miliardi di euro tra i lavori non fatti e gli investimenti futuri che si perderebbero. Un disastro. Finalmente sembra averlo capito anche il sindaco. Resta da sperare che oltre a lui lo comprenda anche la maggioranza che lo sostiene. Sì, perché «l’esperienza da dimenticare» come la chiama Sala, è tutta responsabilità dei partiti di sinistra. Pd in testa. Sono stati loro a tenere in ostaggio sia il sindaco, sia l’intera città, con un tira e molla sulla legge che non ha eguali in questo Paese. Quando il governo, al solo scopo di aiutare le famiglie, ha presentato il testo in Parlamento, chi ha fatto le barricate? La sinistra. Chi ha brigato per ottenere il ritiro di quel testo? Solo la sinistra. Chi ha snobbato le “famiglie sospese”? Sempre e soltanto la sinistra. E allora che si prenda le proprie responsabilità. Come? Per una volta ascoltando Sala, senza che il verde di turno si metta di traverso al solo scopo di perdere un po’ di tempo e guadagnare qualche preferenza in più nel 2027. Perché questa cosa va detta chiara ai milanesi. L’unico motivo per il quale questa situazione non si è ancora risolta è esclusivamente politico: la sinistra non poteva e forse ancora non può, permettere che a risolvere la situazione sia un governo di centrodestra. Sarebbe come ammettere un clamoroso fallimento a poco meno di due anni dalle elezioni per scegliere il nuovo sindaco. Il tempo dei tentennamenti, però, è finito. Lo ha capito anche Beppe Sala. E allora avanti con una proposta seria. Non volete chiamarlo Salva Milano? Chiamatelo come volete, ma chiamatelo e soprattutto votatelo. Tutti assieme. In caso contrario il governo si faccia pieno carico della situazione. Nomini un commissario per l’Urbanistica di Milano, che possa dare una speranza alle oltre 4.500 famiglie che sono in attesa non solo di una casa, ma anche di risposte concrete per il loro futuro.
È stata ricoverata d’urgenza in ospedale nelle prime ore di oggi, domenica 9 novembre, l’ex avvocata generale delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), Yifat Tomer-Yerushalmi. Secondo quanto riportato dai media israeliani, tra cui Ynet, i servizi di primo soccorso sono intervenuti a seguito di una segnalazione per una sospetta overdose da farmaci, alimentando l’ipotesi di […] L'articolo Ricoverata in ospedale l’ex avvocata generale delle Forze di difesa israeliane: “Ha avuto un malore, si sospetta overdose da farmaci” proviene da Il Fatto Quotidiano .
Tra Report e il Garante per la Privacy è ancora scontro. Ad accendere la miccia, alla vigilia della puntata di domenica, è un servizio sugli smart glasses di Meta, anticipato...
Il commento sulla partita dei rossoneri. I 7 punti lasciati per strada tra Parma, Cremonese e Pisa non possono non pesare sulla contabilità del campionato
Coinvolti più veicoli, anche diversi feriti
Il venerdì dello sciopero generale del 12 dicembre prossimo non ha solo l’inconveniente, chiamiamolo così, lamentato dalla premier Giorgia Meloni, fra le proteste del segretario generale della Cgil Maurizio Landini, di precedere il sabato e di allungare così il ponte di fine settimana. Un inconveniente diventato abituale, al quale Landini si illude di potere credibilmente rispondere facendo l’offeso a nome di chi sciopera perdendo la paga di giornata. Che è certamente un sacrificio, per carità, ma evidentemente sempre più sofferto e difficile da ottenere se occorre incentivarlo in quel modo, o facendo cadere lo sciopero di lunedì, sempre con l’effetto di allungare il ponte di turno. E ciò senza che nessuno ne contesti mai i conti e i costi per non sentirsi accusato di fascismo ed eversione per la tutela costituzionale del diritto di sciopero. Condizionato tuttavia al rispetto di una legge ordinaria prevista dalla stessa Costituzione ma che il segretario generale della Cgil ha recentemente rivendicato il diritto di non rispettare. O ha contestato chi ne pretendeva l’applicazione nell’esercizio delle funzioni di garanzia affidatagli. Il venerdì, ripeto, dello sciopero del 12 dicembre prossimo ha anche l’inconveniente di cadere nel 56.mo anniversario di un altro venerdi. È quello in cui nacque o esplose, come preferite, la cosiddetta strategia della tensione con una bomba nella sede milanese della Banca Nazionale dell’Agricoltura, qui a Milano, in cui persero la vita 17 persone e rimasero ferite 88. Fu una strategia della tensione perseguita col terrorismo, prima nero e poi rosso, finalizzato a destabilizzare il Paese e i suoi governi di turno: da quello presieduto nel 1969 dal democristiano Mariano Rumor a quelli che lo seguirono. Compresi i due governi monocolori democristiani di Giulio Andreotti appoggiati esternamente dal partito comunista di Enrico Berlinguer con una maggioranza denominata di “solidarietà nazionale”. Il cui regista, regolo o come altro vogliamo o possiamo ancora definirlo, fu il presidente della stessa Dc Aldo Moro, sequestrato quasi sotto casa nel 1978 fra il sangue della scorta e ucciso pure lui dopo 55 giorni di prigionia in un covo gestito, fra gli altri, da una donna spentasi in libertà proprio in questi giorni. Vengono i brividi solo a scriverne. Ora viviamo, con gli scioperi di venerdì generosamente ricordati solo per questo dalla premier, una stagione di tensione sociale. Sociale da sindacato, per fortuna non unitario perché Landini è riuscito con la sua Cgil ad assumerne guida e gestione sostanzialmente esclusive. Ma mi chiedo con la malizia un po’ connaturata alla professione giornalistica, e con l’esperienza purtroppo accumulata assistendo e raccontando eventi come quelli del 12 dicembre 1969, preceduto peraltro anch’esso da uno sciopero generale, e mesi ed anni successivi, se e sino a quando rimarrà una tensione sociale. Di quest’ultima Landini si è recentemente e imprudentemente vantato perseguendo un rivolgimento, o qualcosa di simile. E con ciò mettendosi di fatto, consapevole o a sua insaputa poco importa, in gara nella corsa alla leadership del campo a grandezza variabile dell’alternativa al centrodestra avvertito e vissuto a sinistra come un permanente attentato alla democrazia. Una corsa alla quale partecipano o si iscrivono di giorno in giorno, o si lasciano iscrivere da cronache, retroscena e simili, la segretaria del Pd Elly Schlein, l’ex presidente del Consiglio a 5 Stelle Giuseppe Conte, la sindaca di Genova Silvia Salis, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, il sindaco di Milano Beppe Sala, l’assessore capitolino Alessandro Onorato, della scuderia quasi personale di Goffredo Bettini, l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini altri ancora ai quali faccio il torto di non nominarli per difetto di memoria, scusandomene con i lettori e i diretti interessati.
Uno studente di 15 anni ha puntato un'arma giocattolo contro l'insegnante durante una lezione in un istituto superiore di Torino. Il docente non si era accorto che si trattava di un'arma giocattolo ed è rimasto paralizzato sul posto, tanto da non aver voluto raccontare ai sindacati cosa fosse accaduto. Dopo l'accaduto, è arrivata nell'istituto la polizia. Continua a leggere
''Dobbiamo di nuovo pensare alla guerra, non lo abbiamo fatto per troppo tempo'', ha detto capo dell'esercito Carsten Breuer
Il ministro della difesa Guido Crosetto, in una intervista alla Rivista Aeronautica, che celebra i 100 anni di vita, ha evidenziato che “il personale della Difesa resta la nostra risorsa più preziosa. Donne e uomini che operano spesso in contesti difficili con professionalità, umanità, spirito di servizio, e sono il vero pilastro su cui poggiano […]
La cultura woke ci ha abituato ai cortocircuiti mentali e morali. Non è un caso: essendo la forma contemporanea dell’ideologia e del mito, essa per principio non fa i conti con la realtà e quindi cade facilmente in contraddizione. Finendo, quasi sempre, per escludere e discriminare proprio in nome della cosiddetta “inclusività” e della non discriminazione. L’ultimo esempio ci arriva da Roma, ove un recente annuncio di affitto è stato pubblicato su Facebook e ci ha fatto sapere che «la casa non ammette ragazzi etero perché ci sono delle ragazze e quindi la scelta ricadrà su una ragazza o un ragazzo gay». Il motivo? «La presenza di un ragazzo etero non farebbe stare a proprio agio» i componenti, ragazze o appartenenti alla comunità LGBTQ+. Un tempo, quando i social non ancora esistevano ma l’immigrazione interna raggiungeva il suo punto di massima, non era raro trovare sulle porte di abitazioni nelle città del Nord Italia cartelli che, dopo il classico “ Affittasi ”, specificavano che non si volevano «napoletani» o «meridionali». Così come oggi che l’immigrazione viene soprattutto da paesi lontani ogni tanto si ha notizia di cartelli che vietano l’affitto a persone di colore o, ad esempio, di provenienza africana. Sono episodi sempre più ridotti per due motivi, di cui il primo riconducibile alla cultura liberale ed il secondo a quella woke, che liberale proprio non è. Il liberale, infatti, sa bene che le persone si giudicano per i loro comportamenti e sulla capacità di rispetto per l’altro che mostrano. Generalizzare non è perciò giusto, anche se è spiegabile psicologicamente l’automatismo mentale (il pre-giudizio) che porta a identificare con culture altre e confliggenti con la nostra chi viene da luoghi lontani o appartiene ad altre etnie. Un “ razzismo inconscio ” dopo tutto innocuo perché superato facilmente con la riflessione. Vero e proprio razzismo è invece quello di chi giudica gli individui per gruppi omogenei e riduce le diversità etico-culturali individuali a diversità biologiche, e quindi anche di genere sessuale. Un vero e proprio razzismo su basi naturalistiche che oggi prospera, per una sorta di paradosso, proprio in chi ragiona come l’autore del post. Un razzismo opposto nel contenuto rispetto a quello di un tempo, ma pur sempre razzismo, ove la parte delle vittime la fanno questa volta gli eterosessuali, “colpevoli” a prescindere. Che sia così è evidente sol che si provi a immaginare un attimo quel che sarebbe accaduto se fosse stato pubblicato un annuncio che vietava l’affitto di un appartamento a persone gay o LGBTQ+ perché questo avrebbe messo a disagio gli altri coinquilini, tutti etero. Le accuse di maschilismo e di omo o transfobia si sarebbero sprecate, giornalisti e opinionisti à la page avrebbero alzato il loro ditino accusatore, gli autori del post sarebbero stati identificati ed esclusi da ogni consesso sociale e forse ci sarebbe stata pure qualche interrogazione parlamentare. In questo caso, invece, indifferenza o addirittura comprensione. Il fatto poi che il post si chiuda con un invito a non commentare «perché neanche vi leggo», la dice lunga sull’intolleranza e l’incapacità di dialogo dei wokisti. C’è infine un ulteriore elemento da considerare, dirimente: giusta o non giusta che sia, ci piaccia o meno ogni discriminazione, ognuno con la sua abitazione dovrebbe poter fare quel che crede o più gli aggrada. Anche questo è un sano principio liberale, purtroppo oggi ignorato.
I rossoblù di De Rossi ospitano la Viola di Vanoli all'incontro valido per l'11ª giornata di campionato