Incidente sulla tangenziale di Bergamo: tre morti
Lo scontro tra più auto alle 7.30. Le vittime avevano 23, 62 e 64 anni
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(Adnkronos) - Negli ultimi giorni i combattimenti all'interno della città si sono intensificati: secondo la Cnn i russi sono sul punto di prendere Pokrovsk
Coinvolti più veicoli, anche diversi feriti
In autunno l’Andalusia mostra il suo lato migliore: temperature più umane, città finalmente vivibili e costi che tornano accessibili. Siviglia, Málaga e Cadice, con una tappa a Tarifa, si scoprono senza folla e senza afa. Un viaggio più autentico, più rilassato e decisamente più conveniente rispetto all’estate, ecco i posti da non perdere. Continua a leggere
Voti e giudizi alla squadra dei direttori di gara del derby della Mole finito sullo 0-0
L’uomo, un 57enne, è stato fermato dai carabinieri. Nella colluttazione è rimasta ferita anche una passeggera che si trovava sul bus
Spalletti non trova l’estro del turco e Conceicao, con Vlahovic determinato ma impreciso. Baroni rimpiange l’occasione di Adams
New York coi suoi nove milioni e passa di abitanti non è Hamtramck, in Michigan, che di residenti ne fa trentamila, e nemmeno Dearborn, sempre in Michigan, che ne fa poco più di centomila. Però, quanto accaduto in quei due angoli del Midwest avrebbe dovuto meglio consigliare e dovrebbe quanto meno ora mettere sul chi vive i newyorchesi che martedì scorso hanno votato per Zohran Mamdani, socialista e musulmano, incoronandolo sindaco di New York. Le due città-sobborgo di Detroit sono governate da anni da sindaci di fede islamica: lo yemenita Ahmer Ghalib e l’americano di origini libanesi Abdullah Hammoud (riconfermato a Dearborn dal voto dello scorso 4 novembre). ELETTORI DELUSI Due anni fa, Ahmer Ghalib è finito sulle pagine di molti giornali americani ed esteri (compreso l'italiano La Repubblica) per aver vietato nella sua città l'esposizione delle bandiere arcobaleno nel corso del mese di giugno, quello del Pride, facendo insorgere i rappresentanti locali della comunità Lgbtq che si sono visti traditi dall'uomo che loro stessi avevano contribuito a far diventare sindaco. «Lo abbiamo votato e adesso i nostri diritti sono in pericolo», hanno piagnucolato di fronte all’irremovibile divieto del primo cittadino, provando sulla loro pelle liberal come un musulmano sia quanto di più lontano dai valori liberal sulla faccia della terra. Anche peggio ha fatto il suo collega Hammoud quando nel settembre 2024 è intervenuto a un raduno di protesta contro gli attacchi di Israele in Libano in cui si sono urlate lodi a Hassan Nasrallah, allora numero uno dell’organizzazione terroristica filo-iraniana Hezbollah e testimoni non musulmani hanno udito distintamente incitare alla «morte dell’America» (per il sostegno dato agli israeliani). Lo stesso sindaco di Dearborn è finito recentemente sulle pagine dei principali giornali americani perché, durante un consiglio comunale che intendeva cambiare nome a una strada della città dedicandola a un predicatore filo-Hezbollah, ha replicato a un cittadino che in aula esprimeva le sue perplessità dicendogli che quella non era più «la sua città» e che «noi (intendendo i musulmani come lui, ndr) festeggeremo per le strade quanto voi ve ne andrete da questo posto». La negazione o il non riconoscimento dell’identità altrui è un tratto distintivo dei musulmani. E il neo eletto sindaco di New York Mamdani non pare esserne immune, stando a un post su X da lui pubblicato nell'estate 2020. Si era negli anni in cui liberal e dem ce l’avevano con Cristoforo Colombo, ritenendolo colpevole di crimini contro le popolazioni native incontrate dopo lo sbarco su quel lato dell'Oceano e per questo sentendosi alla parte del giusto nel procedere all’abbattimento delle statue dell’esploratore italiano. Tra costoro c’era anche Mamdani, che su X postò la foto del proprio dito medio rivolto a una statua di Colombo ad Astoria, nel Queen's, accompagnando il tutto con il messaggio «take it down», tiratela giù. La foto, riportata alla luce nel luglio scorso, dopo che a sorpresa Zohran vinse le primarie democratiche stracciando Andrew Cuomo, fece imbestialire i rappresentanti della comunità italiana newyorchese: «Se offendi una comunità, offendi tutte le comunità», disse il presidente della Columbus Heritage Coalition, Angelo Vivolo, aggiungendo: «Non penso che lui sarà capace di essere il sindaco di tutti i newyorchesi». Di poco aiuto potrà essergli, in questo senso, la moglie Rama Duwaji. Pomposamente definita “artista” ma in realtà una vignettista, la 28enne nata in Texas da una famiglia di esuli siriani musulmani ha palesato la sua fede pro-Pal nel 2023 quando, poche settimane dopo l’attacco perpetrato dai terroristi di Hamas contro Israele, disegnò una “striscia” per il Washington Post in cui raccontò con alcuni fumetti la vicenda di una ragazza palestinese rimasta intrappolata sotto le macerie del suo palazzo dopo un bombardamento compiuto dagli israeliani su Gaza. Nella penultima vignetta, la First Lady newyorchese accompagna il disegno della donna stesa su una barella alle parole «le ferite e le cicatrici sui nostri corpi serviranno a ricordarci di maledire l’occupazione ogni qual volta dovessimo scordarcene». Tradotto: maledire gli israeliani. Che detto dalla moglie del sindaco di una città in cui vive più di un milione e mezzo di ebrei suona alquanto minaccioso.
Il nuovo saggio di Maurizio Molinari è un volume pesante, con le parole scritte grandi e le pagine così spesse che nel girarle vien sempre da far scorrere l’indice e il pollice sull’angolo per aver la certezza di non averne saltata una. È colorato, perché ci sono mappe e diagrammi e tabelle piene di dati, ed è rivestito da una rassicurante copertina azzurro acquamarina che ricorda un romanzo illustrato per ragazzi, Viaggio al centro della terra, I pirati della Malesia, Le miniere di re Salomone. La scossa globale (Rizzoli, 22 euro, 282 pp.) somiglia al suo autore, che scrive come quando, in tv, spiega paternamente e con entomologica precisione cose da far tremare le vene ai polsi. Molinari parla a mezzo volume con inflessione mononòta (ogni tanto strabuzza appena gli occhi e solleva le sopracciglia, ed è il massimo dell’emozione che si concede), il contrario di qualunque altro ospite dei salotti tv cosicché al randagio spettatore disorientato dal traffico, dalle luci, dalle urla dello schermo, sembra di esser preso per mano e riportato alla scrivania a rimetter la testa su un libro di storia. L’ex direttore di Repubblica e della Stampa si può leggere ascoltandolo, compresa la “r” uvulare. Mette i titoletti e va anche a capo, quasi dopo ogni periodo, come a dire «quello che sta succedendo nel mondo ve lo spiego piano e con respiri lunghi perché non vi vengano le palpitazioni», che è la naturale reazione di chiunque non si limita a stare a cavalcioni del presente ma cerca di afferrarne le redini. La scossa globale è il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, il presidente gonzo sempre in bilico tra dazi e armi, pace e guerra, diplomazia e forza. La sua politica è la reazione obbligata ai disastri che la globalizzazione e un ordine internazionale liberale sfarinato hanno inoculato nei forgotten men, i dimenticati cantati dal vicepresidente J.D. Vance, che si son visti chiudere le acciaierie a causa della concorrenza cinese e, in cambio, ci han guadagnato il fentanyl. Il tycoon, nato dalle braci della vendetta della classe media impoverita, lavora alla ricostruzione della fortezza americana a partire dalla Silicon Valley, in un planisfero dalla topografia cangiante (vedi Russia e Cina) e nell’era dell’intelligenza artificiale, dei data center, delle terre rare, delle criptovalute, dei cavi sottomarini, delle rotte commerciali, della competizione spaziale, della biologia molecolare. Tre i possibili esiti, scrive Molinari: «Un nuovo equilibrio globale sulle sfere di influenza rispetto a Mosca e Pechino; un cortocircuitoplanetario e dunque una fase di conflitti, diretti o per procura, fra Usa, Cina e Russia, con dimensioni e conseguenze senza precedenti; una stagione di endemica instabilità con un domino di crisi, militari ed economiche, in più scenari, che moltiplicheranno l’instabilità globale». L’inviolabilità dei confini, intanto, stabilita nel 1648 con il trattato di Westfalia, s’è dissolta con l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, a partire dall’annessione della Crimea nel 2014, e con l’attacco di Hamas allo Stato ebraico. La Cina maramaldeggia davanti alle coste di Taiwan, per farla tornare assieme alla Madrepatria, e gli Stati Uniti sfidano Groenlandia e Panama per la logica del “chi possiede, controlla”. L’instabilità di oggi, inoltre, è ancor più spaventosa perché è feconda: se un tempo la pace era conditio sine qua non alla prosperità, oggi guerra analogica e guerra ibrida coesistono con la crescita economica. È già successo, dice Molinari, nei secoli della Repubblica di Venezia ed è stata la fortuna dell’Impero cinese. Non è di conforto per l’Europa, culla dell’Occidente sballottata nei marosi delle tensioni tra superpotenze e con una sicurezza atrofizzata da ottant’anni di free riding in prima classe grazie al protettorato americano. Fondata sulla leadership collettiva, l’Unione europea è carente proprio nelle caratteristiche che più servirebbero, l’equilibrio e l’agilità. Per questo, scrive Molinari, siamo di fronte a un bivio: possiamo rafforzarci e diventare una potenza globale attraverso le riforme (l’eliminazione del diritto di veto tra i 27, per esempio, e il completamento dell’Unione bancaria), «oppure cedere alle pressioni interne del populismo e implodere, con il risultato di frammentarsi e diventare più fragile e vulnerabile». Un solo Paese, sottolinea, può correre in aiuto degli europei, ed è la Germania, lo Stato più ricco, più grande, più popoloso, che sta mettendo mano con serietà alla sua difesa. Se ci fosse da scegliere, direttore, non ci dispiacerebbe la prima strada: Berlino ha una demografia in caduta libera, un’economia costruita sulla globalizzazione (Rip) ed è costretta a pensare alle armi a settant’anni dal Trattato di Roma, e la storia insegna che quando i tedeschi mettono la sicurezza al primo punto in agenda le cose non finiscono bene.
Il commento alla partita contro il Toro. Il pari nel derby serve poco a Spalletti che, con le partite di oggi, può perdere un po’ di terreno nella corsa alla Champions, il vero obiettivo dei bianconeri
Dopo il pari con l'Eintracht, la squadra di Antonio Conte torna in campo al Dall'Ara contro la formazione di Vincenzo Italiano: le possibili scelte dei due allenatori
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Da dicembre torna osservabile. Ecco perché ha attirato l'attenzione di Elon Musk e Kim Kardashian
Voti e giudizi alla squadra degli arbitri della partita pareggiata tra ducali e rossoneri
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