A San Giustino, cittadina in provincia di Perugia , per le feste la Polizia Locale ha accompagnato in visita nella scuole pubbliche un Babbo Natale che ha regalato ai bambini un album del Grinch da colorare. Straordinario corto circuito tra due personaggi entrambi importati dalla cultura Usa, che dovrebbero rappresentare i due poli opposti del 25 dicembre, e che però sempre più spesso stanno iniziando ad andare insieme. Dal videogioco del Grinch in offerta su Amazon a un minimo storico, ai Natali con il Grinch organizzati per bambini dalla Val d’Aosta alla Puglia e dalla Sicilia alla Romagna; dal Merry Grunchmas della campagna natalizia di McDonald's allo spot “grinchiano” di Walmart fin dal Black Friday; dall’altro spot di Crocs alle statuette nei presepi e alle immagini dei pigiama da regalare a Natale: è onnipresente il curioso umanoide verde nemico del Natale che fu inventato nel 1957 dallo scrittore e fumettista statunitense Dr. Seuss pseudonimo di Theodor Seuss Geisel -, ma soprattutto fu lanciato dal cartone animato del 1966 e dal film con Jim Carrey del 2000. Buttandola in politica, per dirla alla Giovannino Guareschi, qualcuno legge in questa evoluzione la capacità del capitalismo di neutralizzare e cooptare anche i suoi critici. Ma in realtà già nella storia originale il Grinch alla fine capisce lo spirito del Natale e diventa buono. Insomma, è un cattivo che serve a dimostrare il potere redentore della festa anche verso coloro che potrebbero sembrarvi più ostili. In effetti, è la stessa evoluzione che aveva avuto 114 anni prima del Grinch l’Ebenezer Scrooge del Canto di Natale di Charles Dickens. Banchiere anziano, avarissimo e crudele che odia il Natale, ma proprio la notte del 24 dicembre viene visitato prima dal fantasma di un suo defunto socio, e poi dagli spiriti del Natale passato, del Natale presente e del Natale futuro, che dopo avergli messo una paura tremenda fanno diventare anche lui buono. A parte ispirare nome e carattere del disneyano Uncle Scrooge , in italiano Paperon de’ Paperoni o Zio Paperone, il racconto è stato trasposto in quasi una settantina tra film e telefilm, per non contare trasposizioni radiofoniche e videogiochi. C’e anche un film disneyano del 1983, dove appunto Scrooge è Paperone e il suo dipendente Topolino. Ma ce ne sono anche uno con i Muppets, uno con Barbie, uno con gli Antenati Flinstone, e un film italiano del 2022 che sposta la vicenda nella Roma del 1829, in un clima tra Rugantino e Marchese Del Grillo, e dove il Natale futuro mostra la Repubblica Romana del 1849. Ma ancora più sono le derivazioni. Appunto lo stesso Grinch; ma anche il Mr. Potter del classico hollywoodiano di Frank Capra del 1946 La vita è meravigliosa, che però non diventa buono, anche se c’è comunque un lieto fine. Ne è una variante lo Ian Hawke punito alla fine di Alvin Superstar. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45554612]] Ma anche i cattivi non redenti hanno un loro ruolo, specie al cinema. Da Harry Lime e Marv Merchants, i due banditi svaligiatori paticcioni che il Natale lo trascorrono a saccheggiare case i cui proprietari sono partiti per le feste e che sono umiliati dalle trappole del piccolo protagonista di Mamma ho perso l’aereo; all’inquietante e ambiguo capotreno di Polar Express, di cui non si capisce bene se è buono o cattivo; fino ai mostruosi Oogie Boogie di Nightmare Before Christmas, Krampus di Natale non è sempre Natale e Stripe dei Gremlins. (Bumble di Rudolph la renna dal naso rosso è un mostro che però diventa anche lui buono). Comunque, rappresentano un polo negativo che costruisce la tensione e la trama contro cui gli ideali del Natale si devono affermare.
Che cosa lega il controrivoluzionario Joseph de Maistre al risveglio anti-woke che sta interessando l’America? Il tema è indagato nel libro Il grande risveglio. L’America da de Maistre a Charlie Kirk (ediz. Eclettica) di Francesco e Paolo Filipazzi dove si parte dalla conversione al cattolicesimo di J.D.Vance per spiegare come l’etica cattolica stia guadagnando terreno rispetto alla mentalità calvinista e come possa, in prospettiva, fornire linfa vitale alla battaglia culturale contro le follie della cancel culture, religione civile abbracciata dalla sinistra liberal. «La paranoia woke parte dall’alta società, dalle élite economiche, le quali hanno ben pensato di imporre dei parametri da rispettare alle grandi aziende, in termini di comunicazione e prodotti da immettere sul mercato. Alcune delle maggiori multinazionali americane hanno sposato le linee guida Diversity, Equality, Inclusion , così come lo stesso governo americano. Facendo degli esempi, se il governo Obama ha introdotto gli ufficiali transgender nell’esercito, le case cinematografiche hanno inserito attori afroamericani in situazioni improbabili, le aziende di moda hanno promosso l’immagine delle modelle obese, l’omosessualità ha invaso le pubblicità e i prodotti per bambini. Il risultato è che le aziende hanno perso miliardi, da un lato per assumere costosi “specialisti” dell’agenda D.E.I. (ricordiamo che dietro al woke c’è un business), dall’altro perla fuga della clientela». [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45198500]] Non a caso gruppi come Disney, Harley Davidson, Tractor Supply , ma anche Microsoft, Google e Amazon , appena hanno potuto hanno fatto marcia indietro. La vittoria elettorale di Trump è stata anche una riscossa del mondo che non ci sta a pensare che i bianchi vadano puniti per le loro colpe ancestrali. Questa opposizione, da subito molto forte sui social, ha preso il nome di Alt Right e ha favorito in larga misura la prima vittoria di Donald Trump , «che si è posto sin da subito come il paladino di chi rifiutava le demenziali imposizioni da stato etico che ormai avevano invaso cinema, letteratura, televisione ma, soprattutto, scuole, università e uffici pubblici». Con i funerali di Charlie Kirk il Maga «non è più solo un fenomeno di reazione a uno stato di cose, anarchico e spontaneista, riunito attorno alla leadership personalista di Trump. È un “corpo mistico” che celebra la propria liturgia intorno al culto del proprio primo martire, che diventa il modello a cui rifarsi, un modello descritto come quello di un cristiano che ama e perdona i propri nemici». Tornando a Vance, che gli autori considerano il naturale erede di Trump, egli pensa come il leader della tecnodestra Peter Thiel , che la crisi americana sia dovuta all’individualismo e alla perdita di trascendenza derivanti dal protestantesimo. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45075037]] Dietro la battaglia culturale anti-woke che si rifà all’etica cattolica ci sono i grandi del pensiero conservatore europeo tra cui Joseph de Maistre ma anche Edmund Burke . Qual era infatti il nocciolo della loro idea? Le vere costituzioni sono le consuetudini e le prassi andatesi a formare, lungo il corso della storia, per effetto delle circostanze, sotto la direzione di quella “mano invisibile” che il conte savoiardo attribuisce alla Provvidenza. «Il modello cui de Maistre si rifà è quello virtuoso del parlamentarismo inglese. Burke, inoltre, difende con decisione il ruolo della Chiesa nella società e denuncia il carattere anticristiano della rivoluzione francese». Le radici storiche degli States affondano in una rivoluzione che fu conservatrice e non intendeva fare tabula rasa come quella giacobina. Ancora, de Maistre scrive nel 1819 il saggio Del Papa e chissà che l’attuale pontefice, americano e agostiniano (J.D. Vance non fa mistero dell’importanza di Sant’Agostino nella sua conversione al cattolicesimo) non possa diventare punto di riferimento e di sintesi tra le due polarità che innervano la società americana: innovazione e conservazione, bloccando fughe in avanti che mirano al disfacimento dei legami comunitari.
C’è un prima e un dopo, nella vita di Juga. Un confine sottile, segnato da una zoppia comparsa in silenzio, alla fine dell’estate. A proposito, Juga è una cagnolona boxer di quasi dieci anni, arrivata in famiglia quando era poco più di un cucciolo di tre mesi appena. Già, in famiglia: perché chiunque abbia o abbia mai avuto un cane sa benissimo che non si tratta di un semplice animale domestico, ma di un pelosetto capace di conquistarsi i gradi di membro effettivo della famiglia in tempi record. Lo si voglia o meno. Fatto sta che lei è un cane vivace, curiosa, instancabile. Le passeggiate quotidiane con gli altri due cani di casa erano il suo rituale preferito, tra le strade e i campi di Pontirolo Nuovo, nella bassa bergamasca. Poi qualcosa si incrina. La visita veterinaria, una radiografia. Il sospetto che fa paura. In pochi giorni arrivano la Tac, la biopsia, la conferma: osteosarcoma. Una diagnosi che pesa come una sentenza e che non lascia molte alternative. Il 19 settembre Juga entra in sala operatoria. L’amputazione è l’unica strada possibile, insieme a una terapia di supporto per provare a rallentare la malattia. «Era l’unica cosa da fare, dopo la conferma del tumore. Ci è stata anche consigliata una terapia chemioterapica di supporto» ha detto il suo padrone Giuseppe Cavalieri. Il rientro a casa è fatto di sguardi, di tentativi incerti, di equilibri da reinventare. Chi vive con un cane lo sa: non serve parlare per capirsi. Basta osservare. Juga prova a muoversi, ma il peso del corpo si scarica sulle altre zampe. Ogni passo è uno sforzo immenso. Ogni corsa, un ricordo lontano. È in quel momento che nasce una nuova idea. Non rassegnarsi. Provare a restituirle una postura più naturale, un movimento meno faticoso. Non per tornare indietro, ma per andare avanti. La svolta arriva a Torino, all’Officina Ortopedica Maria Adelaide che si occupa di protesi e ausili per disabili. Per umani, certo, ma è già capitato di avere a che fare anche con amici a quattro zampe come Angus, un Rhodesian Ridgeback nel 2023 e Rio, un giovane pastore australiano solo pochi mesi fa, quest’ultimo perla stessa protesi di Juga. Un team specializzato studia il caso dell’animale come farebbe con una persona. La zampa mancante viene “letta” da uno scanner a luce strutturata, capace di rilevare ogni misura con precisione millimetrica. Da quei dati nasce un modello digitale. Poi il progetto, la stampa 3D, la protesi. È la stessa tecnologia usata per gli esseri umani, adattata a un cane che ha ancora voglia di muoversi. Il risultato è un dispositivo leggero, su misura, pensato per accompagnare il corpo di Juga senza forzarlo. La progettazione CAD della protesi è stata effettuata con il software CUBE, mentre la realizzazione è avvenuta tramite una stampante 3D dedicata all’ortopedia, chiamata Embrance, prodotta dall’azienda danese Create It Real. Quando la protesi viene applicata, accade qualcosa di semplice e straordinario insieme. Il cane si alza. Prova. Cammina. Non corre ancora, ma ritrova un ritmo. Un equilibrio. Una possibilità. Si abitua in fretta, come se quella zampa fosse sempre stata lì, in attesa. Lei non sa cos’è una stampante 3D. Non conosce il significato di parole come Cad o scanner ottico. Sa solo che ora può tornare a seguire i suoi umani, questa è l’unica cosa che conta. «Avevamo molto lavoro ma ci tenevamo a consegnare la protesi prima di Natale» ci dice Roberto Ariagno, direttore dell’Officina Ortopedica Maria Adelaide,che continua: «Un cane tripode può camminare ma chiaramente si affatica molto. Inoltre tende a mettere l’arto residuo in posizione centrale e questo crea dei problemi, specie se l’animale è abbastanza pesante. Siamo molto contenti per Juga e per la sua famiglia. Si è trovata immediatamente bene con la protesi e siamo certi che, con il passare dei giorni, andrà sempre meglio. Un grosso in bocca al lupo a Juga!». È la prova che la tecnologia, quando incontra l’empatia, può trasformarsi in una seconda possibilità anche per chi cammina su quattro zampe. Un percorso lungo e impegnativo perla famiglia di questa boxerina, ma come disse una volta la scrittrice americana Caroline Knapp: «Prima di prendere un cane, non puoi immaginare come potrebbe essere conviverci insieme, dopo non puoi immaginare di vivere in nessun altro modo».
Li vedi sfrecciare per la città in qualsiasi condizione atmosferica e in qualsiasi giorno dell’anno. Vengono in ufficio, a casa, ovunque tu voglia. Sono i Deliveroo , i Glovo . Finiti al centro della cronaca per l’utilizzo di bici elettriche che sembrano motorini. «Il mio l’ho sbloccato da solo, ora va a 30 all’ora, ma alcune tirano anche a 70-100 km all’ora». Il motivo è semplice. È tutto troppo. Troppi ordini, troppo pochi soldi e distanze spesso troppo lontane. È il connubio di questi elementi a spingere i rider ad acquistare o truccare le loro bici. «Il costo si aggira intorno ai 1000-1200 euro . Ci sono molti negozi, E per chi non può permettersi l’acquisto di una bicicletta elettrica truccata, può ricorrere a un metodo decisamente più economico. Basta un click, infatti, per poter sbloccare il proprio mezzo con facilità. Su YouTube ci sono moltissimi tutorial che insegnano passo passo come procedere. Ricordiamo che tutto ciò è illegale, e lo sanno bene anche i content creator che sotto ai loro video inseriscono l’apposito disclaimer: «Disclaimer legale! Il contenuto di questo video ha esclusivamente finalità tecniche e dimostrative. Qualsiasi modifica mostrata è da intendersi destinata unicamente a veicoli utilizzati in aree private, circuiti chiusi o contesti off-road, dove non si applica il Codice della Strada», si legge sotto uno dei tanti video che circolano sul web. Il post continua ricordando che «L’uso su strada pubblica di veicoli modificati è vietato dalla legge italiana e può comportare sanzioni amministrative e/o penali». E ancora: «l’autore non incoraggia né promuove l’uso illegale dei mezzi e declina ogni responsabilità per l’applicazione impropria delle informazioni contenute nel video». Nonostante l’onestà di chi pubblica questo tipo di contenuti, non si può non considerare il fatto che chiunque possa avere accesso a Internet possa giocare con estrema semplicità al «piccolo meccanico». «Se non facessimo così non potremmo riuscire a portare in tempo tutti gli ordini. La paga è molto bassa, prendo tre euro a ordine più o meno... ci sono distanze molto lunghe da percorrere e andando a una velocità normale ci impiegheremmo ore». Quelli che si affidano a video quali per esempio «Come sbloccare massima velocità e potenza della tua bici elettrica, nuovo metodo segreto e illegale», restano però una minoranza. «La maggior parte le acquista già pronte» aggiunge il rider. CONSEGUENZE Un investimento costoso, ma che permette ai deliveroo di lavorare di più. E infatti sono tantissimi i rider che utilizzano mezzi non conformi alle norme. La legge che regola al momento le e-bike, prevede che il loro motore debba assistere la pedalata e disattivarsi quando si superano i 25 km/h o quando si smette di pedalare, inoltre non deve superare i 250 watt. (500W per le cargo bike adibite al trasporto di merci). Non solo. Come si legge su molti siti specializzati, la e-bike può essere inoltre dotata di un comando manuale dell’acceleratore, che permette di attivare il motore anche senza pedalare, purché con questa modalità non si superino i 6 km/h. Le biciclette a pedalata assistita sono classificate come velocipedi e sono regolamentate dall’articolo 50 del Codice della Strada e dal 2009 dalla normativa europea EN15194 , in cui vengono denominate E.P.A.C, Electrically Power Assisted Cycle . E a restituire una fotografia di quanto questa pratica sia diffusa sono anche i controlli effettuati nei mesi scorsi dalle forze dell’ordine in diverse città italiane. Milano ad esempio, in un solo giorno, i carabinieri hanno fermato 71 ciclisti sequestrando 54 mezzi, con sanzioni superiori a 378.000 euro . Nella mattina del 28 novembre 2025, in piazza Castello, Carabinieri e tecnici della Motorizzazione Civile hanno fermato 10 rider (successivamente si sono spostati in altre zone della città): otto utilizzavano mezzi potenziati oltre i limiti di legge, trasformando di fatto l’ebike in un ciclomotore senza targa, assicurazione e omologazione.
La musica è senza tempo (ovvietà...) ma quella composta nel secolo scorso sembra stia facendo impazzire in questo 2025 che va a spegnersi. Partiamo dalla canzone natalizia per eccellenza, All I want for christmas is you: il brano di Mariah Carey uscito nel 1994, ha battuto ogni record per aver mantenuto la prima posizione nella Billboard hot 100 per 20 settimane, dominando classifiche, radio e playlist in mezzo mondo. Il suo ritorno al vertice ha permesso di superare il primato detenuto in precedenza da Old town road di Lil Nas e Billy Ray Cyrus e da Bar song (tipsy) degli Shaboozey. Evento che, secondo le stime di Forbes e The Economist, porta nelle tasche di Mariah, ogni Natale, tra i 2,5 e i 3 milioni di dollari solo in royalties. Ma in queste ore All I want for christmas is you se la deve vedere con Last Christmas degli Wham!, brano sempre vecchiotto, pubblicato nel 1984 e diventato un altro classico delle feste visto che sta risalendo la classifica in questo Natale 2025. Chi, fra i due brani, sarà al top fra quattro giorni non lo sappiamo ma è singolare che entrambi risalgono, appunto, al 20esimo secolo. NUOVI ADEPTI E poi i Pink Floyd , che con il Natale c’entrano il giusto ma sono tornati a spopolare. La lisergica band del fluido rosa è sempre lì, pronta a sfidare i decenni e a conquistare nuovi adepti a tal punto da aver raggiunto con la riedizione peri 50 annidi Wish you were here , capolavoro del 1975, la vetta delle classifiche italiane Fimi/Niq degli album, dei cd, vinili e musicassette, più venduti. Stessa cosa nel Regno Unito dove Wish you were here 50 è stato nominato Christmas Number One Album ed è al top. Vero, non si venderanno più i dischi fisici come una volta nell’era di TikTok e di Spotify — laddove Emma Marrone, peraltro, è al top con L’amore non mi basta, brano non del secolo scorso ma stagionato anch’esso e uscito nel 2013 — tuttavia è singolare che una band scioltasi da tempo tocchi questo primato con un album che ha mezzo secolo di vita, riproposto in versioni rimasterizzate e arricchite da rarità e inediti. Essendo uno degli album già iconici dei Pink Floyd, in via Ripa di Porta Ticinese 47 a Milano è stato addirittura inaugurato un Pop Up Store dedicato ai 50 anni di Wish you were here. Nick Mason, batterista storico della band, ricorda così la creazione di quel capolavoro: «Nel rimetterci le mani per rimasterizzate le nuove versioni mi sono stupito di come sia stato registrato all’epoca, in quel posto meraviglioso che erano gli Abbey Road Studios». [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45523745]] L’occasione di visitare il Pop Store milanese è unica: i temi di Wish you were here, si intersecano con l’omaggio a Syd Barrett, fondatore dei Pink Floyd e scomparso nel 2006 dopo anni di sofferenza. Mason lo ha ricordato così: «Syd stava molto male per un problema causato dalla droga e ci venne a trovare in studio mentre registravamo, quasi non lo riconoscemmo. Quella sua visita di ha contribuito a cristallizzare i temi del disco. Un lavoro che definire difficile da realizzare è quasi riduttivo anche se è magnifico ricordarlo ora, mezzo secolo dopo». E ancora: «Due i motivi di quelle incisioni di Wish you were here: avevamo prodotto The Dark Side of the Moon da poco, quindi tutti sapevano che il disco successivo sarebbe stato guardato con molta attenzione. Secondo motivo, stavamo crescendo come band e stavamo diventando grandi». Come noto i Pink Floyd ora non hanno più contatti fra loro, hanno litigato ferocemente, soprattutto David Gilmour con Roger Waters, ma Mason li ricorda così: «Allora eravamo quattro persone che lavoravano insieme producendo dischi migliori rispetto a quello individuali». Vero.
Si sono dovute attendere oltre 16 ore per ripristinare l’erogazione dell’elettricità in gran parte di San Francisco, quarta città della California, colpita fra sabato e domenica da un grosso blackout. L’azzeramento della tensione è iniziato alle 13.00 di sabato, ora locale, quando in Italia erano le 22.00 del sabato sera, ed è proseguito fin oltre le 5 del mattino, ora locale, in Italia le 14.00 di ieri pomeriggio. Sono rimaste al buio 130.000 fra case e aziende, cioè una grossa proporzione della popolazione della città, che totalizza circa 830.000 abitanti. In mattinata restavano ancora, secondo la CNN, 25.000 utenze non riallacciate, ma il problema sembrava in via di risoluzione. Secondo la società energetica Pacific Gas and Electric Company il blackout ha colpito gran parte dei quartieri settentrionali della città, a partire dalle aree di Richmond e Presidio e dai paraggi del Golden Gate Park. La causa sarebbe un incendio scoppiato in una sottostazione elettrica presso 8th e Mission Street. Al di là dei comprensibili disagi, l'aspetto più bizzarro di questo guasto alla rete elettrica della metropoli è stato il repentino blocco, nel bel mezzo delle strade, delle auto elettriche e a guida autonoma del servizio di taxi robot Waymo, proprietà di Alphabet. I cervelli di questi taxi automatici, infatti, sono rimasti disorientati dalla cessazione del funzionamento dei semafori e segnaletiche luminose, fermandosi praticamente all'unisono e peggiorando gli ingorghi già creatisi. La società dei taxi robot ha diffuso un comunicato: «Abbiamo temporaneamente sospeso i nostri servizi di ride-hailing nella Bay Area di San Francisco a causa della diffusa interruzione di corrente. Le nostre squadre stanno lavorando con impegno e in stretto coordinamento con le autorità cittadine per monitorare la stabilità delle infrastrutture e speriamo di ripristinare presto i nostri servizi». Ma nel frattempo le immagini delle macchinette di Waymo inerti agli incroci, come patetici pupazzi, riprese coi cellulari dai cittadini attoniti, e forse anche divertiti, furoreggiavano sui social come simbolo della fragilità intrinseca di tecnologie fin troppo complesse. Su X un utente ha scritto beffardo: «Un'interruzione di elettricità ha distrutto le Waymo. RIP». Un altro ha postato: «Sei Waymo parcheggiate a un semaforo rotto bloccavano la strada. Sembra che non fossero addestrate per un'interruzione di corrente». La Waymo è stata fondata nel 2016 ereditando il programma auto a guida autonoma che il colosso Google portava avanti dal 2009 e sganciandosi dal gruppo informatico, che l’ha ceduta ad Alphabet. Dispone, stando a dati dello scorso novembre, di 2500 robotaxi operativi negli Stati Uniti, per la maggior parte in California, dove sarebbero 800 i veicoli nella sola San Francisco. Ciò può dare l'idea del disagio relativo a centinaia di veicoli fermi di fronte ai semafori spenti, con lunghe file dietro di loro. La situazione richiama stranezze da fantascienza, che rendono ancora a molti americani sospetta l'idea di taxi robot. Come la scena del film “Atto di Forza -Total Recall” del 1990, in cui un inferocito Arnold Schwarzenegger letteralmente strappa dal posto di guida un robot tassista petulante. Tornando alla realtà, l'esperienza del blackout imporrà cambiamenti di programmazione dei sistemi di intelligenza artificiale che regolano i movimenti dell'auto, contemplando il caso del mancato funzionamento dei semafori.
Nel Poema allegorico in terzine “Trionfi"+”, iniziato nel 1351, Francesco Petrarca definiva Marco Tullio Cicerone “sommo oratore”, Virgilio Publio Marone “sommo poeta" e Marco Terenzio Varrone “sommo erudito”. Nato da nobili origini a Rieti (all'epoca Reate) nel 116 aC, la famiglia di Marco Terenzio possedeva molte proprietà terriere nel luogo d'origine ma anche abitazioni lussuose nella zona di Tusculum (oggi Castelli Romani), a Baia nel Golfo di Napoli e nel Cassinate. A Roma frequentò naturalmente i Maestri del tempo quali Lucio Elio Stilone Preconino per gli studi di grammatica e Lucio Accio per la linguistica e la filologia. Come poi si confaceva alle famiglie di rango, Marco Terenzio visitò la Grecia da ragazzo ma soprattutto tra l'84 e l'82 dove divenne amico degli accademici e filosofi. Antioco di Ascalona. Caratteristica fondamentale del nostro personaggio fu però di non chiudersi nei propri studi filosofici ma, al contrario, non mancò di occuparsi di politica divenendo triumviro capitale e questore nel '97 e legato dell'ordine senatorio in Illiria nel '78 dove parteggiò per Gneo Pompeo Magno ('106/'48), divenendo proquestore in Spagna tra il '76 ed il '72 e partecipe nei combattimenti contro i pirati in Sicilia ed a Delo, isola delle Cicladi nel Mare Egeo. La guerra civile del '49 lo vede soccombente in quanto attivo in favore del perdente Pompeo Magno ma apprezzato egualmente da Gaio Giulio Cesare ('100/'44) per la straordinaria cultura e per la notevole capacità di Cesare nello scegliere anche tra i nemici, al punto di affidargli l'incarico di predisporre due Biblioteche rispettivamente latina e greca, sospese purtroppo dopo l'uccisione dello stesso Giulio Cesare durante le idi di marzo del '44 ma riprese alcuni anni dopo attraverso Ottaviano Augusto ('63/'14 dC). [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45335873]] Inserito nelle liste di proscrizione di Marco Antonio ('82/'30) e inizialmente dello stesso Ottaviano Augusto, non per gravi accuse ma più prosaicamente per avere la possibilità di prendersi cura delle sue ricchezze senza problemi, venne salvato dal Console Quinto Fufio Caleno ('76/'40) e si avvicinò caparbiamente ad Ottaviano dedicandogli il “De vita populi Romani”, teso a divinizzare l'immagine di Giulio Cesare attraverso la vita e lo spirito della Roma più antica. Deceduto sorprendentemente nel '27 ad 89 anni (Livia Drusilla - '57'29 dC vedova dell'Imperatore Augusto che sembrava immortale, morì ad 86), Marco Terenzio Varrone lascia una produzione immensa, in parte purtroppo perduta, di oltre settanta opere suddivise in 620 libri. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45335882]]
Una luce vivida e dorata illumina dal basso tutta la scena, Maria e il Bambino appena partorito, Giuseppe, i pastori –trascinati in quella stalla dalla luce di una stella - i santi Francesco e Lorenzo in vesti da mendicanti: Caravaggio offre una visione della notte santa di una bellezza commovente, senza drammi e violenza, soffusa di verità e compassione. Un quadro che però è passato alla storia soprattutto per essere tra i più ricercati, dopo la sua eclatante scomparsa. La Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, olio su tela conservato nell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, viene asportato e fatto sparire nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969. Sparito in senso letterale perché da allora non se ne è avuta più alcuna notizia. Stimata intorno ai 20 milioni di dollari, l’opera è inserita nella lista dell’Fbi dei dieci capolavori rubati più importanti al mondo. E continua ad essere inseguita come un fantasma irresistibile da registi, scrittori, giornalisti, oltre che, ovviamente, agenti, mercanti d’arte, storici, studiosi. Per un Natale che scompare, qualcuno ritorna. Il quadro rubato a Belluno nel 1973, la Madonna con Bambino di Antonio Solario (detto lo Zingaro), è un’opera cinquecentesca trafugata dai Musei Civici e rientrata in città solo nel luglio di quest’anno, dopo una lunga vicenda legale che ha coinvolto il Regno Unito. Altra storia di un furto d’arte a lieto fine, si spera a lungo. Una pregiata pagina miniata del ’400, in cui la Vergine stringe a sé il figlio appena dato alla luce, rubata dalla basilica di Santa Maria in Aracoeli a Roma negli anni ’80, è stata recuperata e restituita quest’autunno dai carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale , dopo essere stata rintracciata attraverso le fittissime trame del mercato antiquario internazionale e già messa in vendita. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45519156]] Ha vissuto molte vicissitudini, danni, parziali mutilazioni, la Natività di Lorenzo Lotto , che ormai “riposa” tranquilla nella Pinacoteca Nazionale di Siena. Dal 1521, quando il maestro lo ha terminato di dipingere, diverse volte è stato sottratto, ha fatto parte di bottini di guerra e saccheggi. Solo per citare un episodio, nel 1630, ha dovuto subire le violenze e finire a far parte del bottino d’arte a seguito del sacco di Mantova... Il Natale ritrovato è forse anche quello da assaporare nei conventi, monasteri, abbazie. Luoghi da scoprire o riscoprire, in cui vivere il senso di una festa sempre più soffocata da strati di inutili luccichii, da oggetti costosi e superflui, da discorsi traboccanti di sentimentalismo zuccheroso. E si fa strada la nostalgia di silenzio, di accoglienza, di bellezza, di preghiera, di mistero. Così, di anno in anno, aumentano i visitatori e i pellegrini che bussano alle loro porte, soprattutto in questo periodo festivo, magari dopo aver letto pagine che dischiudono alla visione dei loro tesori. È l’esperienza che, dalla solitudine monastica allo spazio interiore quotidiano, si dipana tra le pagine di un libro appena rieditato dalla Libreria Vaticana Editrice, con la prefazione scritta da papa Leone XIV. Opera che il Pontefice ha indicato come «esemplare» per la sua vita spirituale per molti anni: La pratica della presenza di Dio, scritto da fra Lorenzo della Risurrezione, al secolo Nicolas Herman, un religioso carmelitano francese vissuto nel Seicento, che dopo anni vissuti come soldato, diventa frate, lavorando soprattutto come cuoco per la sua comunità. Il suo libro postumo, appunto La pratica della presenza di Dio è diventato un classico della spiritualità cristiana, nel quale la vita umana trascorre sotto lo sguardo del Signore. Sia che si preghi, che si lavi il pavimento, si cucini... A proposito di cucine, proprio di conventi e monasteri, si moltiplicano i libri che rivelano le infinite attrattive delle pietanze monastiche. Dal seguitissimo programma La cucina delle Monache, in un volume, vero bestseller, sono state raccolte tante ricette, autentici gioielli culinari, del monastero benedettino di Sant’Anna di Bastia Umbra, splendido borgo medievale a pochi chilometri da Assisi. Custodite in uno scrigno nell’antica biblioteca del monastero, le ricette sono state tramandate da generazioni di monache. Nelle abbazie si può assurgere alle vastità celesti anche in senso astronomico. Nell’abbazia di Praglia, a pochi chilometri da Padova, famosa, tra l’altro per la biblioteca, i vini, il cioccolato e i biscotti, è sorto un centro di studio per l'astronomia, con un moderno osservatorio nella storica specola e un potente telescopio. Si ospitano eventi e incontri di divulgazione scientifica, come quello organizzato in questo dicembre, per poter vivere l’esperienza di osservazione del cielo. Dalle notti sante dipinte dai grandi maestri, a volte rubate, restituite, mutilate o fatte sparire nel nulla, alla pace dei chiostri dentro il caos quotidiano, ai misteri del cielo: un viaggio alla ricerca del Natale più vero.
Satana è più che mai attivo in questi tempi cupi. La sua presenza è assidua, ben visibile, e gli esorcisti lanciano l’allarme su - dicono - «un disegno che sembra quasi organizzato e che, in ogni caso, è ispirato dal padre della menzogna, nemico di Dio e del genere umano». Episodi gravi ed eclatanti messi uno dietro l’altro proprio dall’associazione internazionale dei sacerdoti delegati dai vescovi a scacciare il demonio . Alcuni gravi, altri magari meno clamorosi, a dimostrazione di come il Male trovi sempre il modo per farsi nogesto di fede, in quanto si riconosce la divinità. In questi casi si tratta di atti che, pur essendo sacrileghi nella forma, nella mente di chi li commette è solo una goliardata o uno sfregio. Ed è questo l’aspetto più preoccupante». L’avviso affisso in chiesa si conclude con una frase che sa anche di presa in giro: «Se vuoi alza la testa e salutaci anche tu, così ti vediamo ancora meglio». Ma purtroppo da ridere c’è ben poco, e il fenomeno delle profanazioni prende sempre più piede. Rapporti sessuali, escrementi e spazzatura sono solo alcuni degli atti sacrileghi denunciati, come detto, dall’ Associazione internazionale degli Esorcisti . Come quello accaduto di recente in una parrocchia di Roma, sul litorale di Ostia, dove qualcuno ha abbandonato escrementi umani in diversi punti della chiesa di San Nicola di Bari , altare compreso. Oppure ad Alessandria , nella chiesa parrocchiale dell’Assunzione di Maria Vergine, dove è stato bruciato un testo sacro . Al centro della navata principale i balordi hanno abbandonato rifiuti prima di darsi alla fuga. Sempre in Piemonte , nel torinese, una coppia è stata sorpresa a consumare atti sessuali all’interno della parrocchia di Salsasio di Carmagnola . L’episodio, avvenuto in pieno giorno e ripreso dalle telecamere, è stato denunciato alle forze dell’ordine, ma il parroco ha dovuto fare una messa di riparazione perla profanazione del luogo di culto. Sesso in chiesa, guarda qui il video de La vita in diretta su Rai 1 Senza precedenti anche lo sfregio nella Basilica di San Pietro , nel pieno periodo del Giubileo, da parte di un uomo che davanti a tutti ha scavalcato la balaustra dell’altare papale, si è denudato per poi tentare di urinare sull’altare della Confessione. Un gesto tanto grave da far sentire «costernato» anche Papa Leone XIV . Se nel nostro Paese il quadro appare preoccupante, all’estero le cose non vanno meglio. In Francia, in occasione di Halloween , alcuni individui hanno celebrato messe nere all’interno di una parrocchia in cui sono sepolti due vescovi. Si trattava di uno degli eventi del festival “ Ex Tenebris Lux ”: una orribile mascherata con performance da messa nera. Ciò ha suscitato lo sdegno dell’arcivescovo di Montpellier, Mons. Norbert Turini , e dei fedeli: «Non è una questione di laicità che, com’è definita dalle leggi francesi, non consiste nel cancellare ogni presenza religiosa dalla sfera pubblica, ma richiede il rispetto reciproco tra tutti i cittadini, indipendentemente dal loro credo», ha tuonato. La maggior parte dei crimini d’odio contro i cristiani nel 2024 è stata documentata dall’osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa (Oidac Europa), proprio in Francia (770 casi). A seguire ci sono Regno Unito (502), Germania (337) e Austria (116). Ma in realtà sarebbero molti di più. La direttrice dell’associazione degli Esorcisti Anja Tang ha infatti sottolineato l’elevato numero di casi non segnalati: in Polonia, ad esempio, metà dei circa 1.000 sacerdoti intervistati ha riferito di essere stata vittima di aggressioni. Ciò nonostante, oltre l’80% non ha denunciato gli incidenti alla polizia. Gli esorcisti denunciano una « precisa strategia » del Maligno, chiedono accoratamente lo stop a «tanto abominio». L’associazione offre in tal senso sostegno a tutte le comunità parrocchiali e le diocesi ferite da questi fatti: «Massima solidarietà e vicinanza nella preghiera». E forse di una preghiera ce ne sarebbe proprio bisogno da tutti, a prescindere dalla religione che si professa, per scacciare il male che sempre di più, in tutto il mondo, colpisce chiese e altri luoghi di culto come le sinagoghe e le moschee in nome di un fanatismo religioso e non, che viene fin troppo tollerato.
Milano mangia sempre più giapponese. A certificarlo c’è una classifica realizzata da chi con il cibo ci lavora o, meglio ancora, con chi lo cucina e lo serve nel migliore dei modi, 365 giorni l’anno. Parliamo di Deliveroo (azienda dedita per lo più a consegne a domicilio di pranzi e cene) che in occasione del suo decennale in Italia ha scelto di realizzare una graduatoria, fotografando la direzione del gusto dei milanesi. La multinazionale fondata dall’imprenditore anglostatunitense Will Shu tiene in particolare considerazione il capoluogo lombardo in quanto proprio Milano è la città in cui la consegna a casa di piatti pronti è ai massimi livelli in Italia. E dalle scelte di quel laboratorio socio-gastronomico permanente in cui si è trasformata la metropoli meneghina emerge chiaramente come il gusto dei milanesi, almeno in cucina, guardi sempre più a oriente. Basti pensare che è proprio il poke il piatto più ordinato nel 2025, anno in cui le bacchette a tavola stanno via via sempre più soppiantando forchette e coltelli. Houseki, ristorante giapponese tempio del sushi contemporaneo di via Paolo Lomazzo, nel cuore della Chinatown, guida la classifica confermandosi punto di riferimento per chi cerca qualità, estetica e precisione orientale anche a domicilio. Il sushi, del resto, non è più un vezzo modaiolo: è diventato comfort food urbano, ordinato in ufficio, a casa, persino la domenica sera. E i numeri lo confermano: la cucina giapponese è quella che in proporzione cresce di più, con un balzo di circa il 50% rispetto all’anno scorso. «Siamo felici di ricevere il premio come miglior ristorante della città», dice Wanli Wang di Houseki, «è un riconoscimento che mette in luce il grande impegno che mettiamo per studiare e proporre piatti autentici, che vadano sempre incontro al gusto dei nostri clienti, per un’esperienza sempre più soddisfacente per chi ordina da casa o dall’ufficio». [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45338049]] Subito dietro, al secondo posto, troviamo (vivaddio) un’eccellenza di dolcezza italiana che a Milano corrisponde al nome della gelateria Ice Dream, in zona Crescenzago, seguita nella top 10 da altri tre laboratori del gelato artigianale: in quinta e sesta posizione troviamo la Gelateria Concordia e la particolarissima Gelateria della Musica di via Lodovico il Moro sul Naviglio grande dove i gusti con cui farcire i coni hanno i nomi di grandi musicisti e cantautori. Al nono posto troviamo invece Gelateria LAB. Dati che dimostrano come a Milano il dolce non sia affatto un finale, ma, specie nei torridi orari di pranzo in estate, possa rappresentare una valida alternativa al piatto principale. Un record che dice molto sullo stile di vita cittadino: rapido, goloso e sempre con lo smartphone in mano. Terzo gradino del podio per Cipiace, insegna di cucina italiana con due sedi, una in viale Pasubio, a porta Garibaldi, l’altra in viale di Porta Vittoria. Un marchio che ha saputo adattare i grandi classici al linguaggio del delivery senza perdere la sua identità tricolore e gialla come lo zafferano del risotto alla milanese. Al quarto posto La Porta Rossa, altro esempio di tradizione che regge l’urto della modernità in via Vittor Pisani, vicinissima alla stazione Centrale, celebre per i suoi piatti riconoscibili, le porzioni generose e il comfort garantito. Segno che la cucina italiana, oltre a essere materia da museo, fortunatamente è ancora viva e sa reinventarsi nel confronto con sapori più esotici. Dal quinto al decimo posto la classifica racconta una Milano varia e golosa che oltre alle già citate gelaterie, vede un altro giapponese, Izu, che conferma il trend e, a chiudere, Little Fish Poke Bowl, ristorante del Suriname in Porta Genova che si prende il titolo di “Miglior performance” grazie alla crescita impressionante degli ordini del suo colorato piatto caratteristico, gustoso ma anche salutare quanto basta a saziare lo stomaco e anche la coscienza. Mentre a farci tornare gaudenti peccatori di gola ci pensa il dato (che ci sta più simpatico) e vede ancora sul podio due eccellenze italiane come la pizza e la piadina romagnola. Ancora regine della tavola persino nella multietnica Milano. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45368116]]
A distanza di appena sette giorni dall’orrore di Trieste, l’Italia si ritrova davanti allo stesso incubo: una madre che uccide il proprio figlio. Questa volta è successo a Calimera, nel cuore del Salento leccese, dove il corpo senza vita del piccolo Elia Perrone , otto anni, è stato trovato nella sua camera da letto. La madre, Najoua Minniti, 35 anni, giaceva in mare a Torre dell’Orso, recuperata da un sub. Due morti, un solo destino: un gesto disperato che si è portato via una vita innocente e ha riscritto per sempre il dolore di un’intera comunità. La sequenza degli eventi è raggelante. Lunedì pomeriggio Najoua va a prendere Elia a scuola, come sempre. Martedì il padre nonché ex marito della donna, recatosi all’uscita, scopre che il bambino non è mai arrivato. Immediatamente scatta la denuncia ai carabinieri. Poche ore dopo, al largo della marina di Melendugno, un sub vede un corpo affiorare: è la madre. In serata i militari entrano nell’abitazione di Calimera, trovano Elia sul letto, in pigiama. Sul corpo ci sono segni compatibili con strangolamento e ferite da arma da taglio: l’omicidio, dicono gli inquirenti, risale con ogni probabilità alla notte tra lunedì e martedì. La famiglia è distrutta. Nell’abitazione dei nonni paterni stringono il padre in un silenzio carico di lacrime. Dal balcone, il nonno Fernando Perrone lascia uscire lo sfogo che pesa come un macigno: «Fabio lo sapeva. Tutti lo sapevano. Nessuno è intervenuto». Perché Najoua , raccontano persone vicine alla coppia, da mesi viveva una fragilità emotiva profonda. Aveva già espresso intenti suicidi, aveva lasciato trapelare pensieri bui anche sul figlio. Il padre, preoccupato, aveva sporto denuncia-querela. Ma il tribunale, dopo la separazione avvenuta un anno fa, aveva stabilito l’affido condiviso, con collocazione presso la madre. Un rapporto difficile, quello fra i due ex coniugi, con reciproche denunce ed esposti per presunte violazioni degli obblighi sulla gestione dle piccolo. E pare che lei avesse rivolto a Perrone una frase terribile: «Saluta Elia perché lo porto con me, sei responsabile di ciò che ci succede». Il confronto con Trieste diventa inevitabile. Lì, solo una settimana fa, una donna ucraina ha ucciso a coltellate il figlio di nove anni. Anche lei seguita dai servizi sociali, anche lì il padre aveva lanciato allarmi. Ma in quel caso il bambino era affidato al padre e gli incontri con la madre erano stati per lungo tempo protetti, poi resi improvvisamente liberi. Peraltro, poche ore prima che l’Italia piangesse Giovanni ed Elia, è arrivata anche una sentenza che ha riportato al centro il tema della fragilità psichica delle madri, attraverso Monia Bortolotti, accusata di aver ucciso i suoi due figli, Alice e Mattia, di 4 e 2 mesi e assolta di recente per totale incapacità di intendere e volere della donna al momento del fatto. A Calimera la madre aveva ottenuto come detto un affido condiviso: nessuno o quasi aveva intercettato a dovere il dissesto emotivo che evidentemente viveva. In effetti i vicini, come spesso in questi casi, la descrivono come una donna apparentemente “normale”. Sui social aveva pubblicato foto luminose con il bambino e parole sulla bellezza del mare, «l’unico luogo che mi trasmette tranquillità». Poi, il baratro. I casi di Calimera e di Trieste non sono purtroppo isolati. Secondo i dati raccolti dall’associazione “Federico nel Cuore”, dal 2000 a oggi in Italia sono stati registrati 558 figlicidi, quasi uno ogni due settimane. Per il rapporto Eures, si tratta del 12,7% degli omicidi in ambito familiare . Una violenza che colpisce soprattutto per la distribuzione di genere: l’87% di questi delitti è commesso da padri, il 13% da madri. Una minoranza numerica, quest’ultima, che però esplode nell’immaginario collettivo ogni volta che si manifesta, perché infrange l’idea radicata di maternità come luogo sicuro. Tornando a Lecce, ora sarà l’autopsia a svelare altri agghiaccianti particolari sulla dinamica di questa tragedia. Resta una verità che brucia: due bambini uccisi in una settimana, due madri fragili, due padri inascoltati. E soprattutto un sistema che, ancora una volta, non è riuscito a fermare l’irreparabile.
Sappiamo che cane e uomo si sono evoluti insieme. Il legame tra le due specie è antico, anzi arcaico, come prova la forte empatia che hanno l’una per l’altra. Ma resta sensazionale la notizia che ci viene dalla pubblicazione sulla rivista Quaternary Science Reviews dell’esplorazione di una grotta “in collaborazione” tra un gruppo umano e un cane, il loro cane, al tempo del Paleolitico superiore, circa 14.400 anni fa . È il più antico caso di convivenza fra uomo e cane di cui si abbia conoscenza. Lo studio è stato realizzato da un gruppo di ricerca della Sapienza di Roma, coordinato dal paleontologo Marco Romano. In Liguria, nella grotta della Bàsura (grotta della strega, dal dialetto locale) a Toirano (Savona), i ricercatori hanno esaminato con le tecniche più avanzate le tracce del passaggio di un cane di circa 40 chili, al fianco di un gruppo di uomini, donne e bambini, evidentemente intenti a esplorare quegli ambienti oscuri e nascosti. Per l’illuminazione, sono state rivenute tracce carboniose rilasciate da torce fatte di fasci di legno resinoso. ANALISI SCIENTIFICHE I ricercatori dell’università romana hanno studiato 25 impronte fossili di canide, analizzate con fotogrammetria, che a partire dalle fotografie dei fossili ricostruisce un’immagine tridimensionale, e morfometria, che misura in modo scientifico e comparativo le forme dei fossili. Il confronto è stato fatto con un archivio di migliaia di orme di cani domestici odierni e lupi in condizioni controllate. I risultati hanno dimostrato che, come dice il professor Romano, tutte le impronte del canide nella grotta della Bàsura «appartengono a un unico individuo, un cane adulto di circa 40 chili, alto quasi 70 centimetri al garrese, che seguiva da vicino il gruppo umano. Le sovrapposizioni reciproche tra le impronte umane e canine rappresentano una prova inequivocabile della contemporaneità e quindi della relazione stretta fra i due. Per la prima volta possiamo osservare non solo la presenza del cane accanto agli esseri umani, ma un momento preciso della loro stretta interazione, cristallizzato nelle impronte». Le tracce fossili mostrano la vivacità della mescolanza tra il gruppo umano e il cane, disegnando un andirivieni dove a volte le orme del cane si imprimono su quelle degli uomini, a volte accade il rovescio. Passaggi incrociati, esplorazioni, ispezioni e nuovi passaggi, proprio come avviene oggi quando usciamo con il cane e lo vediamo anticiparci, seguirci, girarci attorno, ripercorrere i nostri passi e rispondere a un richiamo. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45188643]] Una “danza” che è stata rilevata in molti ambienti della grotta, evidentemente esplorata a fondo dagli uomini in compagnia, e con l’aiuto, del cane. Non è la prima volta che i paleontologi osservano la presenza del cane in un contesto umano. Alla vigilia dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, durante un’estrazione di basalto a Oberkassel, quartiere di Bonn, vennero rinvenuti resti di due esseri umani e la mandibola destra di un animale che fu classificato come un lupo. Tutti i corpi vennero datati al 14.200 a.C. Alla fine degli anni Settanta la mandibola venne riesaminata, e si concluse che non era un lupo, ma un Canis Lupus Familiaris , insomma il cane domesticato (il cane è stato il primo animale che l’uomo abbia addomesticato, dal lupo grigio). Si ebbe così la prova che in Europa occidentale, attorno al 14.500 a.C., c’erano già animali geneticamente e morfologicamente uguali al cane moderno. Tutti i segni del ritrovamento lasciavano pensare che esistesse un forte legame affettivo tra i due uomini e il cane, e che erano stati sepolti assieme. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45166696]] SEPOLTURA COMUNE Il nuovo studio aggiunge un tassello ulteriore nella storia dei rapporti fra le due specie: gli uomini del Paleolitico non solo avevano a cuore i loro cani, affezionandoglisi al punto da farsi seppellire assieme e senza necessariamente, o meglio, esclusivamente sviluppare con loro un rapporto utilitaristico, ma effettivamente agivano e esploravano e compivano la loro marcia nell’ignoto di una caverna buia con quegli inseparabili compagni. Il cane cioè era a tutti gli effetti un partner evolutivo, un essere vivente che condivideva le speranze, le paure, le scoperte dell’Homo Sapiens, che l’aveva addomesticato. Già più di quindicimila anni fa, l’uomo si era fatto il suo fedele alleato tra le altre specie, un alleato che svolgeva essenzialmente lo stesso ruolo prezioso dei cani che abbiamo nelle nostre case illuminate non da fiaccole ma dalla luce elettrica. Se un cane di allora e uno di oggi si potessero incontrare, non si comporterebbero in modo più amichevole, o conflittuale, di come fanno due cani contemporanei. Con lo stesso senso di territorialità per la “casa” e di curiosità nello scoprire nuovi ambienti, e lo stesso vincolo al padrone e ai suoi compagni.
Amo il Natale consumista. Non perché io sia un gran “consumatore”. Anzi, il contrario. Faccio vita da eremita e compro solo libri e giornali. Ma amo il Natale consumista che tutti criticano perché sono cattolico. Mi piace il “consumismo” natalizio degli altri. Mi dà allegria perché mi sembra un piccolo atto di fede inconsapevole (o forse consapevole, chi può dirlo?). Per me ogni luce degli addobbi natalizi celebra la Luce che è venuta nel mondo. Ogni – piccolo o grande – dono che vedo fra le mani della gente è il ricordo del dono che Dio ha fatto agli uomini: suo Figlio. E ogni gesto di gentilezza, di perdono, di comprensione (specie per chi soffre o è solo), ogni sorriso, ogni augurio fatto o ricevuto è una carezza del Bambino di Betlemme. Perché siamo tutti poveracci e tutti abbiamo bisogno di misericordia. Perciò mi commuove vedere tutta questa folla che alla vigilia di Natale mette luci alle case, addobba le città, si sorride, si fa gli auguri, si accalca nei negozi per i regali. Ipocrisia, dirà qualcuno. Ma chi può giudicare? E se invece si esprimesse così il desiderio più profondo, di Bene e di Felicità, che abbiamo nel cuore? Almeno un giorno all’anno ci diciamo la verità. Si dirà che è solo la consuetudine o che è un’invenzione del sistema capitalista per fare fatturato. Sarà... (peraltro fare fatturato non è poi un male: si dà lavoro, si dà il pane a tante famiglie). Ma non è tutto qui. A Natale c’è qualcos’altro e tutti lo sanno: c’è quel Bambino in quel presepe, quella tenerezza che in fondo al cuore ci dice che siamo amati, che «un altro mondo è possibile», che senza amore l’umanità non vive, ma si autodistrugge. Nessuno dentro di sé è indifferente quando sente il nome “Gesù”. E ognuno – che sia credente o no – sa che a Natale sta festeggiando Lui. Vedere le nostre città che in questi giorni s’illuminano è stupendo, perché così si celebra l’avvenimento più bello e liberante della storia: Dio che si fa uomo, il Re dei cieli che nasce fra noi e condivide la nostra vita, con tutti i suoi dolori, le sue fatiche. È la compassione di Dio per noi suoi poveri figli. Per noi si farà addirittura crocifiggere. Tutti lo sanno. Si festeggia il Natale anche solo rallegrandosi e sorridendo. E molti intuiscono – più o meno – che è a quel Bambino che dobbiamo tutto. Pure le cose che sono diventate civiltà laica, come la dignità, la libertà e l’uguaglianza di ogni essere umano, la sacralità anche del più misero degli esseri umani. Prima di Lui non era così. Senza di Lui non è così. Albert Camus da non credente diceva: «Non posso nascondere l’emozione che sento di fronte a Cristo e al suo insegnamento. Di fronte a lui e di fronte alla sua storia non provo che rispetto e venerazione». Il grande laico Benedetto Croce lo scrisse in un testo celebre: «Non possiamo non riconoscerci e non dirci cristiani... Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta... E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni... non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l’impulso originario fu e perdura il suo». QUEI PRETI FUSTIGATORI Ma lo sappiamo tutti, qualunque sia il nostro rapporto con la Chiesa. Non a caso, secondo una ricerca del Censis dell’autunno 2024, in Italia il 71,1% si definisce cattolico (poi ci sono anche i cristiani evangelici e ortodossi). È vero che i cattolici che vanno a messa ogni domenica sono il 15,3 %, quelli occasionali il 34,9% e il 20,9% afferma di essere “cattolico non praticante”. Ma ben il 66% degli italiani dichiara di pregare o di rivolgersi a Dio (lo fa perfino l’11,5% di chi si dichiara non credente). A Natale le chiese sono piene e ci sono preti che ne approfittano per fustigare i partecipanti, magari proprio polemizzando sui regali e sul consumismo. O lamentando la scarsa presenza in chiesa di chi si vede solo a Natale. Eppure Gesù ha pietà di tutti e spiega che non è venuto per quelli che credono di essere sani, ma per i malati. Cioè tutti. Nel Vangelo si dice di Gesù: «Egli guarì tutti» (Mt 12,15). Nel corpo e nell’anima. È proprio a chi è incerto, sulla soglia, che vuole donare la sua consolazione. L’evangelista applica a Gesù un versetto di Isaia: «Non spezzerà la canna incrinata e non spegnerà il lucignolo fumigante». Se i preti, a Natale, offrissero a chi li ascolta questa consolazione forse le domeniche avrebbero più fedeli. Potrebbero ispirarsi alla famosa omelia del papa San Leone Magno: «Il nostro Salvatore oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina il premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita». Anche San Francesco viveva il Natale così. Lui sapeva che Cristo è il senso e la consistenza di tutto il creato, perciò voleva che «per amore di Lui, che ha dato a noi tutto se stesso, ogni cristiano fosse largo e munifico» perfino con gli animali. Scrive Chiara Mercuri che per Francesco «il Natale deve essere il giorno della gioia e dell’abbondanza per tutti. Solo se lo sarà per tutti sarà Natale. Si mangeranno cibi ricchi, rari, di solito assenti dalla mensa dei frati, come la carne, i formaggi stagionati, il vino, l’olio, il lardo e la frutta fresca. Mendicanti, contadini, medici, notai, nobili si uniranno alla mensa dei frati per festeggiare con loro».
(Agenzia Vista) Città del Vaticano, 24 dicembre 2025 "Mentre un'economia distorta porta a ridurre gli uomini a meri oggetti, Dio si fa uomo, rivelando l'infinita dignità di ciascuna persona. Se l'essere umano aspira a diventare Dio per dominare l'altro, Dio sceglie di farsi uomo per liberarci da ogni forma di schiavitù. Questo amore ci basterà per cambiare il nostro cammino?" così Papa Leone XIV durante l'omelia della messa della notte di Natale 2025, la sua prima dall'elezione al pontificato. Fonte: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev