Elly Schlein, fine corsa: "Con lei non si vince", cosa si muove nel Pd

Elly Schlein, fine corsa: "Con lei non si vince", cosa si muove nel Pd

Immagino, conoscendone la lunga storia politica, tutta a sinistra, nella versione comunista e post-comunista del Pci e derivati, quanto debba essere costato a Claudio Petruccioli il riconoscimento, appena maturato ed espresso in una lunga intervista rilasciata col cuore in mano, diciamo così, che l’alternativa di governo così “testardamente” perseguita dalla segretaria del Pd Elly Schlein sia irrealizzabile con lei al Nazareno. Ora a pensarla così, e a dirlo pubblicamente, non è più soltanto l’ex senatore, pure lui, Luigi Zanda, che appartiene però, diversamente da Petruccioli, alla parte di provenienza democristiana del Pd, formatosi alla scuola vera e propria, con tanto di partecipazione, interrogazioni e voti, di Francesco Cossiga. Il guaio della Schlein, cosciente o incosciente che sia, nel senso di non rendersene conto, è di essere quella che una volta chiamavamo “gruppettara”. E con i gruppettari alle costole, già prudentemente allontanati dal Pci ai tempi del vecchio Luigi Longo con le mani dell’ancor giovane Enrico Berlinguer, i comunisti non potettero partecipare con un minuto, un solo minuto di serenità alla cosiddetta maggioranza di “solidarietà nazionale” con la Dc del governo monocolore di Giulio Andreotti. Poi in soccorso dei gruppettari intervennero direttamente le brigate rosse, sequestrando e ammazzando il vero regolo, garante e quant’altro di quella stagione politica, e tutto precipitò all’indietro per la sinistra. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45546874]] I gruppettari oggi non sono solo quelli una volta di sinistra, orgogliosamente di sinistra. Sono anche quelli cresciuti nell’antipolitica con Beppe Grillo ed ereditati, per quanto a ranghi elettoralmente ridotti sotto le 5 Stelle, da Giuseppe Conte. Che è peraltro il concorrente più diretto, per niente nascosto, direi anzi ostentato della Schlein alla leadership dell’alternativa, spintovi anche dal rimpianto di un Palazzo Chigi dove è già stato con due maggioranze di segno opposto tra il 2018 e il 2019, non riuscite per rapidità o immediatezza neppure ad Andreotti negli anni della cosiddetta prima Repubblica. Per compensare, bilanciare o quant’altro il carattere gruppettaro del Pd, e più in generale del campo più o meno largo dell’alternativa, così chiamato anche fra le resistenze di Conte che lo vorrebbe solo “giusto” per le sue ambizioni, Petruccioli non ritiene sufficienti i cespugli e cespuglietti moderati che Goffredo Bettini, di provenienza comunista pure lui, vorrebbe in una tenda tipo serra. Gli elettori di mezzo, diciamo così, sempre più decisivi nei risultati già condizionati negativamente da un assenteismo ormai maggioritario, non si lascerebbero incantare da simili mezzucci, per quanti busti da protagonisti vengano offerti da generose cronache giornalistiche in quel Pincio immaginario. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45548418]] «Penso - ha detto Petruccioli a Giacomo Puletti del Dubbio commentando criticamente anche la recente assemblea nazionale del Pd, disertata dai due terzi dei suoi esponenti, eletti odi diritto - che si debba muovere un altro pezzo sulla scacchiera.....Si dovrebbe costruire da zero qualcosa di simile a quella che fu la Margherita», il partito dove con Francesco Rutelli prima e con Franco Marini poi si rifugiarono democristiani, liberali, verdi e radicali. Infine confluiti nel Partito Democratico a vocazione maggioritaria guidato per primo da Walter Vetroni. Che tuttavia si schiantò rapidamente con dimissioni impietosamemte commentate da Massimo D’Alema definendo quel partito “un amalgama mal riuscito”. Eppure sopravvissuto passando per diversi altri segretari, sino ad una Schlein prima uscita e poi rientrata apposta per diventarne la segretaria con i voti più degli esterni che degli iscritti. Un amalgama mal riuscito e peggio sviluppato, direi. Per quante difficoltà possa avere realmente la Meloni, oltre a quelle fantasiosamente e interessatamente attribuitele dagli avversari, e per quante potranno davvero sopraggiungere in un 2026 che lei stessa ha scaramanticamente previsto più difficile di quello che sta finendo, l’alternativa al suo governo rimane a dir poco improbabile anche ad uno vissuto sempre a sinistra come Petruccioli. Vorrà pur dire qualcosa.

Elly Schlein, fine corsa: "Con lei non si vince", cosa si muove nel Pd

Elly Schlein, fine corsa: "Con lei non si vince", cosa si muove nel Pd

Immagino, conoscendone la lunga storia politica, tutta a sinistra, nella versione comunista e post-comunista del Pci e derivati, quanto debba essere costato a Claudio Petruccioli il riconoscimento, appena maturato ed espresso in una lunga intervista rilasciata col cuore in mano, diciamo così, che l’alternativa di governo così “testardamente” perseguita dalla segretaria del Pd Elly Schlein sia irrealizzabile con lei al Nazareno. Ora a pensarla così, e a dirlo pubblicamente, non è più soltanto l’ex senatore, pure lui, Luigi Zanda, che appartiene però, diversamente da Petruccioli, alla parte di provenienza democristiana del Pd, formatosi alla scuola vera e propria, con tanto di partecipazione, interrogazioni e voti, di Francesco Cossiga. Il guaio della Schlein, cosciente o incosciente che sia, nel senso di non rendersene conto, è di essere quella che una volta chiamavamo “gruppettara”. E con i gruppettari alle costole, già prudentemente allontanati dal Pci ai tempi del vecchio Luigi Longo con le mani dell’ancor giovane Enrico Berlinguer, i comunisti non potettero partecipare con un minuto, un solo minuto di serenità alla cosiddetta maggioranza di “solidarietà nazionale” con la Dc del governo monocolore di Giulio Andreotti. Poi in soccorso dei gruppettari intervennero direttamente le brigate rosse, sequestrando e ammazzando il vero regolo, garante e quant’altro di quella stagione politica, e tutto precipitò all’indietro per la sinistra. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45546874]] I gruppettari oggi non sono solo quelli una volta di sinistra, orgogliosamente di sinistra. Sono anche quelli cresciuti nell’antipolitica con Beppe Grillo ed ereditati, per quanto a ranghi elettoralmente ridotti sotto le 5 Stelle, da Giuseppe Conte. Che è peraltro il concorrente più diretto, per niente nascosto, direi anzi ostentato della Schlein alla leadership dell’alternativa, spintovi anche dal rimpianto di un Palazzo Chigi dove è già stato con due maggioranze di segno opposto tra il 2018 e il 2019, non riuscite per rapidità o immediatezza neppure ad Andreotti negli anni della cosiddetta prima Repubblica. Per compensare, bilanciare o quant’altro il carattere gruppettaro del Pd, e più in generale del campo più o meno largo dell’alternativa, così chiamato anche fra le resistenze di Conte che lo vorrebbe solo “giusto” per le sue ambizioni, Petruccioli non ritiene sufficienti i cespugli e cespuglietti moderati che Goffredo Bettini, di provenienza comunista pure lui, vorrebbe in una tenda tipo serra. Gli elettori di mezzo, diciamo così, sempre più decisivi nei risultati già condizionati negativamente da un assenteismo ormai maggioritario, non si lascerebbero incantare da simili mezzucci, per quanti busti da protagonisti vengano offerti da generose cronache giornalistiche in quel Pincio immaginario. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45548418]] «Penso - ha detto Petruccioli a Giacomo Puletti del Dubbio commentando criticamente anche la recente assemblea nazionale del Pd, disertata dai due terzi dei suoi esponenti, eletti odi diritto - che si debba muovere un altro pezzo sulla scacchiera.....Si dovrebbe costruire da zero qualcosa di simile a quella che fu la Margherita», il partito dove con Francesco Rutelli prima e con Franco Marini poi si rifugiarono democristiani, liberali, verdi e radicali. Infine confluiti nel Partito Democratico a vocazione maggioritaria guidato per primo da Walter Vetroni. Che tuttavia si schiantò rapidamente con dimissioni impietosamemte commentate da Massimo D’Alema definendo quel partito “un amalgama mal riuscito”. Eppure sopravvissuto passando per diversi altri segretari, sino ad una Schlein prima uscita e poi rientrata apposta per diventarne la segretaria con i voti più degli esterni che degli iscritti. Un amalgama mal riuscito e peggio sviluppato, direi. Per quante difficoltà possa avere realmente la Meloni, oltre a quelle fantasiosamente e interessatamente attribuitele dagli avversari, e per quante potranno davvero sopraggiungere in un 2026 che lei stessa ha scaramanticamente previsto più difficile di quello che sta finendo, l’alternativa al suo governo rimane a dir poco improbabile anche ad uno vissuto sempre a sinistra come Petruccioli. Vorrà pur dire qualcosa.

I film tratti da libri più attesi del 2026

I film tratti da libri più attesi del 2026

Quali sono i film del 2026 tratti da libri che ci attendono al cinema? In questa panoramica in aggiornamento, ecco un’anticipazione - mese per mese - degli adattamenti che ci accompagneranno durante l'anno. Fra thriller e storie d'amore, commedie, fantasy e fantascienza, horror e drammi, senza dimenticare i film di animazione, si prospetta un 2026 ricco di uscite (Da "Narnia" a "The hunger games", da "Odissea" a "Canto di Natale", passando per "Cime tempestose" e "Ragione e sentimento", per arrivare a "Il diavolo veste Prada 2" e molti altri...) Leggi l'articolo completo I film tratti da libri più attesi del 2026 .

Tennis, il piano di Angelo Binaghi: "Come portare il quinto Slam a Roma"

Tennis, il piano di Angelo Binaghi: "Come portare il quinto Slam a Roma"

Il tennis italiano ha avuto nel 2025 ben più diritti che rovesci e Angelo Binaghi, che guida la Fitp dal 2001, ripensa agli ultimi 12 mesi guardando al futuro. Lo fa da sempre, da quando la federazione era ben lontana da certi traguardi. Presidente, cosa aggiungere dopo un 2025 che ha messo in vetrina Sinner e non solo? «In termini di risultati mi basterebbe persino raggiungerne un quinto di quelli che abbiamo raggiunto negli ultimi due anni. Ma spero anche non ci siano più altre complicazioni». Si spieghi. «Beh, nei mesi scorsi non avevamo più un titolo giuridico che ci garantisse lo svolgimento regolare degli Internazionali d’Italia. Si è rischiato. Tutto poi è stato chiarito grazie al ministro dello sport, Abodi, e quello dell’Economia e delle Finanze, Giorgetti, con cui abbiamo sistemato il problema. Ora c’è da discutere delle Finals». Si riferisce al Decreto Sport che vorrebbe lo stato in co-gestione delle Finals? «Le Finals non sono nostre ma dell’Atp. Il Decreto pone una serie di problemi nella gestione di questa manifestazione di così grande successo. Confido che anche questo ostacolo, nel 2026, venga risolto col dialogo». Ha sentito la Premier? «La Meloni ci è sempre stata vicina ma ha ben altri problemi da affrontare. Confido che tutto si aggiusterà». Le Finals a Torino sono un evento che va oltre il tennis. Atmosfera incredibile... «Quando prima della finalissima abbiamo portato a cantare Gianni Morandi, conquistato dal nostro sport pur non avendolo mai giocato, è stato magico». I flash più belli del 2025? «Sinner che conquista Wimbledon, la Paolini che trionfa a Roma, certo. Ma anche le altre vittorie con due menzioni speciali: la terza Davis e soprattutto la King Cup conquistata in trasferta con la Cocciaretto e la Paolini che hanno battuto le americane contro pronostico». E il suo vecchio sogno, quello di superare il calcio? «Parlano i dati: quelli dei tesserati contano relativamente, anche se i nostri, che in tre anni sono raddoppiati, lo scorso anno erano 1.085.901 contro 1.121.495 di quelli del calcio. Ma è il numero dei praticanti a essere esaltante: i nostri del tennis e del padel, secondo gli ultimi dati Nielsen, sono 6.237.000 e stanno raggiungendo quelli del calcio: 6.533.000. Cinque anni fa c’era una differenza del 39%». Sinner è il fenomeno che il mondo ci invidia però è stato messo alla gogna da alcuni pseudo-opinionisti... «Sì, ma lui risponde a suon di risultati e zittisce tutti. Lasciamo parlare e scrivere certi opinionisti da strapazzo. Conosciamo Jannik da bambino, il tennista ma anche il ragazzo. Meriterebbe una statua». Le ha anticipato se giocherà la Davis il prossimo anno? «No, ma lo spero. In ogni caso abbiamo dimostrato che la Davis la possiamo vincere anche senza il migliore giocatore al mondo. È un momento irripetibile». Davis a Bologna? Soddisfatto? «Le finali di Bologna hanno avuto un impatto economico di 143,8 milioni di euro, secondo Boston Consulting Group, accogliendo 47.877 spettatori per un totale di 61.463 presenze giornaliere, di cui l’11,7% dall’estero. E dal prossimo anno tutto migliorerà a Bologna, a partire dal nuovo palasport». Roma quinto slam? Un sogno? «Ritengo ci debbano essere tre requisiti per arrivare ad avere il quinto major, e tenercelo per sempre: il tennis italiano al top, e ci siamo; la credibilità a livello internazionale e abbiamo un italiano come presidente dell’Atp, Andrea Gaudenzi; e poi un investimento statale che sarebbe sempre notevolmente inferiore a quello per Milano/Cortina». A quando il tetto mobile nel centrale del Foro? «I tempi per i lavori indicano che l’edizione 2028 si giocherà in un impianto rinnovato e copribile». Diritti tv. Lei sostiene: il grande tennis deve andare su Rai1. «Non vedo perché debba accadere il contrario. Quando uno sport raggiunge certi risultati e tale popolarità, la prima rete dell’emittente di stato è la sua casa e i vertici Rai se ne sono accorti. La nazionale di calcio, che speriamo vada ai mondiali, dove viene trasmessa?». Un sogno per il 2026? «Vincere il torneo maschile a Roma, non succede dal 1976. Sarebbe un cinquantenario speciale». Saranno 12 mesi senza fiato. «Vero, Sinner può tornare numero 1, Musetti entrare tra i top 5. Errani vorrei giocasse per sempre. E ci aspettiamo tanto da Jasmine, da Cobolli, da Berrettini, da tutti». Lei è stato n° 14 in Italia. Che tipo di tennista era? «D’attacco, rompevo il gioco altrui, tifafo McEnroe ed Edberg». Dicono abbia le stesse caratteristiche come presidente. «Perché, non servono?». A chi dedica questo 2025? «A Nicola Pietrangeli e a Lea Pericoli. Mai dimenticare il passato».