“Il valore delle cose” di Serena Cappellozza: il primo giallo (Sellerio) con Mirna Paganie

“Il valore delle cose” di Serena Cappellozza: il primo giallo (Sellerio) con Mirna Paganie

Una nuova detective debutta in casa Sellerio: Mirna Pagani che, all’ombra di Venezia, è subito messa alla prova con un’indagine che sembra impossibile. La nuova investigatrice, nata dalla penna di Serena Cappellozza, vedrà intrecciarsi la sua piatta quotidianità alle indagini su una morte misteriosa… Su ilLibraio.it un estratto da “Il valore delle cose” Leggi l'articolo completo “Il valore delle cose” di Serena Cappellozza: il primo giallo (Sellerio) con Mirna Paganie .

Vescovi e comunisti: il nuovo asse contro Donald Trump

Vescovi e comunisti: il nuovo asse contro Donald Trump

Perfino due critici duri di Donald Trump , come Marco Travaglio e Giuliano Ferrara , gli riconoscono il merito della straordinaria impresa del Piano di pace per Gaza. Il primo ha scritto: «Molti pro -Pal hanno accolto la notizia che riempie di gioia Gaza e Israele con un misto di fastidio e cordoglio... Chi vaticinava che Trump avrebbe riempito il mondo di guerre non può ammettere che ne ha fermata almeno una». E Ferrara, ieri, dopo anni di attacchi a Trump, ha riconosciuto che, nel suo viaggio lampo in Israele ed Egitto per varare il Piano, Trump è stato «destinatario di decine di ovazioni e di lodi iperboliche, per una volta credibili e meritate». Eppure c’è chi non ci sta. Per esempio Il Manifesto, “quotidiano comunista” (così si definisce nella testata) e Avvenire, il giornale della Cei del cardinal Zuppi. L’editoriale di Alberto Negri sul “quotidiano comunista” e quello di Giorgio Ferrari sul quotidiano clericale sprizzano negatività fin dal titolo: “Una tregua dai volti illusori” e “Un’alba fragile in Medio Oriente”. «COMITATO D’AFFARI» Non solo scelgono di vedere solo il bicchiere mezzo vuoto (che ovviamente c’è sempre quando si inizia un cammino di pacificazione), non solo riducono a nulla il bicchiere mezzo pieno (per il quale tutto il mondo gioisce), ma soprattutto attaccano i pacificatori. D’ora in poi a Gaza verrebbe imposto «un protettorato d’affari», il «comitato d’affari trumpiano», «una sorta di condominio da gestire con gli arabi ricchi», scrive il “quotidiano comunista”. Il buon senso dovrebbe ricordare che fino ad oggi a Gaza dominava Hamas. Non è meglio un provvisorio commissariamento che ricostruisca Gaza, dando lavoro e cancellando il crudele regime di Hamas? Del resto anche il giornale clericale canta la stessa solfa: «Blair e il genero di Trump Jared Kushner hanno ruolo di faccendieri», la Gaza di Trump «ha messo l’acquolina in bocca a tutte le monarchie del Golfo». E – aggiunge il giornale di Zuppi – « Abu Mazen , invitato dall’Egitto al tavolo di Sharm» aveva l’aspetto «di un commensale ammesso per decenza alla tavola delle potenze coloniali che decidono per lui». Il quotidiano della Cei definisce proprio così coloro che hanno imposto la fine della guerra: «potenze coloniali». Il quotidiano comunista concorda: «i palestinesi sono comparse». Ma quali palestinesi per Il Manifesto e Avvenire dovrebbero essere attori protagonisti? Quelli di Hamas? O l’Autorità nazionale palestinese, che è screditata per il suo stesso popolo (come ammette lo stesso Manifesto)? Quella leadership palestinese che ha rifiutato più volte lo stato palestinese, che ha dato pessima prova di governo e non conta nulla a Gaza? Oltretutto in questo momento a Gaza le diverse fazioni palestinesi si stanno scontrando sanguinosamente... Allora non è più sensato, per il momento, affidare il governo transitorio di Gaza a un comitato di tecnocrati palestinesi apolitici come prevede il Piano di pace di Trump? Avvenire arriva a scrivere che «una pace, tardivamente imposta sopra una simile catasta di morti non è cosa su cui troppo festeggiare». Un ragionamento assurdo: proprio perché si è messo fine alle morti e alla prigionia degli ostaggi si festeggia. Come si festeggia ogni volta che finisce una guerra. Inoltre Avvenire, che lamenta la «pace tardiva», dimentica di ricordare che c’era Biden fino al gennaio di quest’anno e Trump in soli sette mesi è riuscito a fare un vero e proprio miracolo diplomatico. Perché attaccarlo invece di dargliene atto? Non solo. La guerra è stata iniziata da Hamas il 7 ottobre 2023, e in ogni giorno di questi due anni Hamas avrebbe potuto mettervi fine, semplicemente rilasciando gli ostaggi. Ma non lo ha fatto.Èquindi ad Hamas che va imputata la prosecuzione della guerra e «la catasta di morti». Chi ora ha costretto Hamas alla resa e alla liberazione degli ostaggi dovrebbe meritare gratitudine, non duri attacchi. Oltretutto il Piano di pace di Trump, sottoscritto da Netanyahu, dimostra che l’obiettivo di Israele era veramente la liberazione degli ostaggi (e la liberazione di Gaza da Hamas) e non è mai stato l’eliminazione dei palestinesi. Anche su questo qualcuno dovrebbe fare un’autocritica. GERARCHIE BERGOGLIANE Se l’ostilità del “quotidiano comunista” verso Trump, verso il suo Piano di pace e verso Israele è facilmente spiegabile nell’orizzonte ideologico anti-occidentale del “quotidiano comunista”, condiviso da gran parte della sinistra delle piazze, come si spiega la linea simile del giornale della Cei? Semplice. Esso rappresenta le gerarchie clericali bergogliane che hanno tuttora il potere nella Chiesa. Quelle che – come il Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin – ritengono che pregare per la pace (come continua a chiedere il Papa) sia poca cosa e sia bene andare alle manifestazioni pro-Pal. Del resto il cardinale Ravasi è arrivato a dichiarare che «queste manifestazioni laiche mi hanno ricordato per alcuni versi le processioni cattoliche la cui funzione, davanti alla miseria della città, è quella di guardare al futuro e alla pace. Non a caso in questi giorni abbiamo visto portare simboli e sendardi». Lasciamo stare le violenze, il porporato sta parlando di manifestazioni come quella nota per l’oltraggio alla statua di Giovanni Paolo II (la scritta “fascista di m**a” più falce e martello), per gli slogan pieni di odio e per gli striscioni come quello orribile sul 7 ottobre. Per paragonare tutto questo alle “processioni cattoliche” che celebrano l’Eucaristia e cantano inni alla Madonna bisogna avere le idee molto, ma molto confuse non solo sulla politica, ma anche sulla fede. Questa chiesa ormai deragliata e a rimorchio delle mode e dell’estremismo di sinistra è appunto la chiesa bergogliana. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44561616]] Il Papa, con delle dichiarazioni solitarie, ci ha messo una toppa. Maurizio Molinari ha spiegato che, per il successo del Piano di pace di Trump, «fondamentale è stato il riposizionamento del Vaticano. Leone XIV ha riposizionato il Vaticano in Medio Oriente in tempi rapidi rimediando ai gravi errori commessi dal predecessore». Ma è solo una toppa provvisoria.

Il diavolo veste Prada 2, "100 euro per stare muta sul set con Lady Gaga"

Il diavolo veste Prada 2, "100 euro per stare muta sul set con Lady Gaga"

Una nostra “inviata speciale”, che per contratto deve restare nell’anonimato, è stata tra le fortunate scelte tra migliaia come comparsa de Il Diavolo veste Prada 2, che Meryl Streep e il resto del cast sta girando a Milano, fino al 18 ottobre. La nostra infiltrata è stata scelta perché ha attirato l’attenzione in mezzo alla fila di candidati. Ha partecipato a due giornate, anzi nottate di set, alla Pinacoteca di Brera. La scena era quella della sfilata di alta moda, con super ospite a sorpresa Lady Gaga che ha cantato. Il tutto nel segno di una grande riservatezza: a tutte le comparse, circa settecento, è stato gentilmente ritirato il cellulare, poi restituito alla fine del set, con lo scopo di non diffondere foto o video. Due notti magiche e scintillanti. Il sequel del film cult del 2006 prodotto da 20th Century Studios uscirà a maggio 2026. Mi sono presentata ai provini per partecipare come comparsa nel Diavolo Veste Prada 2 per gioco. Lo so, dicono tutti così, oppure "sono andata per accompagnare un'amica e poi hanno preso me, non me lo spiego". Sono arrivata alle 11, con le mie Birkenstokke e la borsa della mia mamma anni Settanta, non convintissima, perché ho pensato: in mezzo a tanti giovani agguerriti, influencer, instagrammers, io che vent’anni non ne ho più figuriamoci se vengo presa. La fila era chilometrica davanti allo showroom Riccardo Grassi di Milano. Eravamo più di mille, forse duemila. La mia amica era in ritardo ma le ho detto: corri, prova. Mi guardo in giro, una varietà umana meravigliosa. Arriva la responsabile del casting, un’istituzione in questo campo, come dire l’Anna Wintour dei casting, forse di più: Alessandra Troisi. Lei guarda la folla supplicante: “Ringrazio tutti tantissimo per la presenza. Siete tantissimi, noi del casting passeremo e prenderemo persone direttamente dalla coda. Potete decidere se restare o andare”. Mi guarda e mi dice: “Tu sì”. Come succedeva negli anni Settanta all’ingresso dello Studio 54, dove facevano entrare in base al tuo look, o se eri figo, o se al buttafuori piacevi. Primo step fatto, ce ne era un secondo, ma per me è come se avessi finto”. Dopo tre settimane mi arriva il messaggio che mi comunica che ero stata ufficialmente presa. Lavoro nel mondo della moda da tanti anni, da qualche tempo ho preso una pausa, immergermi di nuovo in questo universo magico per alcuni fatuo per altri scintillante è stato come andare al luna park. Gente bellissima, una ragazza con gli occhi da fata che arrivava dalla Siberia, giovani dalla Cina, una tizia russa creatrice di gioielli che li aveva tutti addosso, bracciali, anelli, e sembrava un’opera d’arte. Giravamo la scena della sfilata nella Pinacoteca di Brera di brand italiani. Tante signore, come me, erano senza tinta: capelli corti o lunghi ma comunque lasciati naturali, o bianchi o grigi, una scelta che faccio per comodità da anni e che è anche diventata moda (vedi Andie Mc Dowell, Jamie Lee Curtis o la meravigliosa Diane Keaton, sempre avanti, che oggi non c’è più). Che amici pazzi mi sono fatta in 48 ore: gli uomini, devo dire, era più particolari delle donne, uno di loro mi ha suggerito di cercare una agenzia di modelle per comparire nelle pubblicità come modella, appunto, nella categorie donne mature. Quasi quasi seguo il suo consiglio. C’erano tutti: Meryl Streep, Stanley Tucci (che ormai è adottato dall’Italia), Anne Hathaway. Le scene girate sembravano tutte perfette eppure le hanno rifatte dieci volte. I tempi cinematografici sono lunghissimi, era notte, tanti si lamentavano “che palle” “quando finisce?”. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44520074]] Per me era un sogno. Pagavano cento euro al giorno, io li avrei pagati per esserci. Ero dentro il cinema, una dimensione che non si può spiegare. C’era il caos ma tutto filava liscio. C’era anche Lady Gaga: alla sfilata ha cantato senza cantare. C’erano solo i bassi. Non volevano che uscisse alcuna nota, anteprima, clip, nulla della nuova canzone che sarà il pezzo forte de Il Diavolo Veste Prada 2 che girerà a Milano fino al 18 ottobre), quindi è stato usato questo escamotage. Eppure i telefoni erano stati a tutti requisiti molto gentilmente, riposti in buste con le etichette, riconsegnati alla fine. Sono stati due giorni di set. Non mi sono ancora risvegliata dal sogno.