Crepet silenzia la sinistra: “Chi dovrebbe parlare di sesso e come? Gli insegnanti sono pagati per altro”

Crepet silenzia la sinistra: “Chi dovrebbe parlare di sesso e come? Gli insegnanti sono pagati per altro”

«Ma cosa si intende al di là dello slogan? Per dire: nei temi c'è un titolo e poi c'è uno svolgimento. Qual è lo svolgimento? Cosa vuole dire l'educazione sessuale-affettiva obbligatoria alle scuole medie? Chi va ad insegnare chi e con quale curriculum? L'educazione di questo tipo ai ragazzi la fa il prete? Oppure l'insegnante di biologia? O un altro? Chi? Non lo sanno, talmente la superficialità di questo discorso. Non c'è risposta su questo. Quindi non so che dire». Sfodera la sua ironia Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, educatore e saggista di fama internazionale, quando gli chiediamo una sua riflessione sul dibattito incandescente in corso scaturito dall'emendamento leghista che allarga il divieto di affrontare tematiche sessuali anche alle scuole medie. Dunque, tra favorevoli e contrari lei non si schiera? «Davvero: se va bene o va male questa cosa dell'obbligatorietà o meno dell'educazione sessuale-affettiva alle scuole medie non lo so, non lo capisco. Rispondo: boh. Non entro per nulla nella polemica, sto molto prima. Mi domando: chi lo deve fare? In quali orari? Chi va dai ragazzi avendo cognizione di causa? Con quali competenze? Francamente non ho capito l'argomento. Faccio tanta fatica, in questo senso, nel seguire chi la propone». Uscendo dalle polemiche e focalizzando un altro aspetto, al di là delle “barricate”: va da sé che sono cambiati i tempi. I ragazzini oggi di notizie ed altro in materia di sesso ne hanno eccome... «Gli stimoli sono anche troppi, non so se i parlamentari conoscono i “giri” dei giovani. C'è oggi un'anticipazione di età: quello che un tempo succedeva alle scuole superiori adesso accade alle scuole medie. La curiosità, nata con l'adolescenza, ora è in pre-adolescenza. Pertanto, a maggior ragione: come si fa ad essere d'accordo o contro?». Tanti stimoli ancora più amplificati dall'utilizzo incessante della tecnologia. «I ragazzini sono dentro ad un oceano di informazioni di vario genere. Stanno sempre sugli smartphone. E hanno la loro visione sul sesso: c'è a chi interessa di più, a chi meno. I docenti che lavorano tutte le mattine con loro sono pagati per fare altro, non educazione sessuale. Insegnanti lo si diventa facendo un concorso. Al concorso ai candidati per diventare docenti fanno domande sul sesso? Non credo, non lo so. Queste tematiche rientrano nel loro curriculum di formazione? Mi pare quindi un argomento molto sovrastimato».

Crepet silenzia la sinistra: “Chi dovrebbe parlare di sesso e come? Gli insegnanti sono pagati per altro”

Crepet silenzia la sinistra: “Chi dovrebbe parlare di sesso e come? Gli insegnanti sono pagati per altro”

«Ma cosa si intende al di là dello slogan? Per dire: nei temi c'è un titolo e poi c'è uno svolgimento. Qual è lo svolgimento? Cosa vuole dire l'educazione sessuale-affettiva obbligatoria alle scuole medie? Chi va ad insegnare chi e con quale curriculum? L'educazione di questo tipo ai ragazzi la fa il prete? Oppure l'insegnante di biologia? O un altro? Chi? Non lo sanno, talmente la superficialità di questo discorso. Non c'è risposta su questo. Quindi non so che dire». Sfodera la sua ironia Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, educatore e saggista di fama internazionale, quando gli chiediamo una sua riflessione sul dibattito incandescente in corso scaturito dall'emendamento leghista che allarga il divieto di affrontare tematiche sessuali anche alle scuole medie. Dunque, tra favorevoli e contrari lei non si schiera? «Davvero: se va bene o va male questa cosa dell'obbligatorietà o meno dell'educazione sessuale-affettiva alle scuole medie non lo so, non lo capisco. Rispondo: boh. Non entro per nulla nella polemica, sto molto prima. Mi domando: chi lo deve fare? In quali orari? Chi va dai ragazzi avendo cognizione di causa? Con quali competenze? Francamente non ho capito l'argomento. Faccio tanta fatica, in questo senso, nel seguire chi la propone». Uscendo dalle polemiche e focalizzando un altro aspetto, al di là delle “barricate”: va da sé che sono cambiati i tempi. I ragazzini oggi di notizie ed altro in materia di sesso ne hanno eccome... «Gli stimoli sono anche troppi, non so se i parlamentari conoscono i “giri” dei giovani. C'è oggi un'anticipazione di età: quello che un tempo succedeva alle scuole superiori adesso accade alle scuole medie. La curiosità, nata con l'adolescenza, ora è in pre-adolescenza. Pertanto, a maggior ragione: come si fa ad essere d'accordo o contro?». Tanti stimoli ancora più amplificati dall'utilizzo incessante della tecnologia. «I ragazzini sono dentro ad un oceano di informazioni di vario genere. Stanno sempre sugli smartphone. E hanno la loro visione sul sesso: c'è a chi interessa di più, a chi meno. I docenti che lavorano tutte le mattine con loro sono pagati per fare altro, non educazione sessuale. Insegnanti lo si diventa facendo un concorso. Al concorso ai candidati per diventare docenti fanno domande sul sesso? Non credo, non lo so. Queste tematiche rientrano nel loro curriculum di formazione? Mi pare quindi un argomento molto sovrastimato».

Crepet silenzia la sinistra: “Chi dovrebbe parlare di sesso e come? Gli insegnanti sono pagati per altro”

Crepet silenzia la sinistra: “Chi dovrebbe parlare di sesso e come? Gli insegnanti sono pagati per altro”

«Ma cosa si intende al di là dello slogan? Per dire: nei temi c'è un titolo e poi c'è uno svolgimento. Qual è lo svolgimento? Cosa vuole dire l'educazione sessuale-affettiva obbligatoria alle scuole medie? Chi va ad insegnare chi e con quale curriculum? L'educazione di questo tipo ai ragazzi la fa il prete? Oppure l'insegnante di biologia? O un altro? Chi? Non lo sanno, talmente la superficialità di questo discorso. Non c'è risposta su questo. Quindi non so che dire». Sfodera la sua ironia Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, educatore e saggista di fama internazionale, quando gli chiediamo una sua riflessione sul dibattito incandescente in corso scaturito dall'emendamento leghista che allarga il divieto di affrontare tematiche sessuali anche alle scuole medie. Dunque, tra favorevoli e contrari lei non si schiera? «Davvero: se va bene o va male questa cosa dell'obbligatorietà o meno dell'educazione sessuale-affettiva alle scuole medie non lo so, non lo capisco. Rispondo: boh. Non entro per nulla nella polemica, sto molto prima. Mi domando: chi lo deve fare? In quali orari? Chi va dai ragazzi avendo cognizione di causa? Con quali competenze? Francamente non ho capito l'argomento. Faccio tanta fatica, in questo senso, nel seguire chi la propone». Uscendo dalle polemiche e focalizzando un altro aspetto, al di là delle “barricate”: va da sé che sono cambiati i tempi. I ragazzini oggi di notizie ed altro in materia di sesso ne hanno eccome... «Gli stimoli sono anche troppi, non so se i parlamentari conoscono i “giri” dei giovani. C'è oggi un'anticipazione di età: quello che un tempo succedeva alle scuole superiori adesso accade alle scuole medie. La curiosità, nata con l'adolescenza, ora è in pre-adolescenza. Pertanto, a maggior ragione: come si fa ad essere d'accordo o contro?». Tanti stimoli ancora più amplificati dall'utilizzo incessante della tecnologia. «I ragazzini sono dentro ad un oceano di informazioni di vario genere. Stanno sempre sugli smartphone. E hanno la loro visione sul sesso: c'è a chi interessa di più, a chi meno. I docenti che lavorano tutte le mattine con loro sono pagati per fare altro, non educazione sessuale. Insegnanti lo si diventa facendo un concorso. Al concorso ai candidati per diventare docenti fanno domande sul sesso? Non credo, non lo so. Queste tematiche rientrano nel loro curriculum di formazione? Mi pare quindi un argomento molto sovrastimato».

Crepet silenzia la sinistra: “Chi dovrebbe parlare di sesso e come? Gli insegnanti sono pagati per altro”

Crepet silenzia la sinistra: “Chi dovrebbe parlare di sesso e come? Gli insegnanti sono pagati per altro”

«Ma cosa si intende al di là dello slogan? Per dire: nei temi c'è un titolo e poi c'è uno svolgimento. Qual è lo svolgimento? Cosa vuole dire l'educazione sessuale-affettiva obbligatoria alle scuole medie? Chi va ad insegnare chi e con quale curriculum? L'educazione di questo tipo ai ragazzi la fa il prete? Oppure l'insegnante di biologia? O un altro? Chi? Non lo sanno, talmente la superficialità di questo discorso. Non c'è risposta su questo. Quindi non so che dire». Sfodera la sua ironia Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, educatore e saggista di fama internazionale, quando gli chiediamo una sua riflessione sul dibattito incandescente in corso scaturito dall'emendamento leghista che allarga il divieto di affrontare tematiche sessuali anche alle scuole medie. Dunque, tra favorevoli e contrari lei non si schiera? «Davvero: se va bene o va male questa cosa dell'obbligatorietà o meno dell'educazione sessuale-affettiva alle scuole medie non lo so, non lo capisco. Rispondo: boh. Non entro per nulla nella polemica, sto molto prima. Mi domando: chi lo deve fare? In quali orari? Chi va dai ragazzi avendo cognizione di causa? Con quali competenze? Francamente non ho capito l'argomento. Faccio tanta fatica, in questo senso, nel seguire chi la propone». Uscendo dalle polemiche e focalizzando un altro aspetto, al di là delle “barricate”: va da sé che sono cambiati i tempi. I ragazzini oggi di notizie ed altro in materia di sesso ne hanno eccome... «Gli stimoli sono anche troppi, non so se i parlamentari conoscono i “giri” dei giovani. C'è oggi un'anticipazione di età: quello che un tempo succedeva alle scuole superiori adesso accade alle scuole medie. La curiosità, nata con l'adolescenza, ora è in pre-adolescenza. Pertanto, a maggior ragione: come si fa ad essere d'accordo o contro?». Tanti stimoli ancora più amplificati dall'utilizzo incessante della tecnologia. «I ragazzini sono dentro ad un oceano di informazioni di vario genere. Stanno sempre sugli smartphone. E hanno la loro visione sul sesso: c'è a chi interessa di più, a chi meno. I docenti che lavorano tutte le mattine con loro sono pagati per fare altro, non educazione sessuale. Insegnanti lo si diventa facendo un concorso. Al concorso ai candidati per diventare docenti fanno domande sul sesso? Non credo, non lo so. Queste tematiche rientrano nel loro curriculum di formazione? Mi pare quindi un argomento molto sovrastimato».

Bobby Solo si racconta senza filtri: “Droghe ed alcol, sono un sopravvissuto”

Bobby Solo si racconta senza filtri: “Droghe ed alcol, sono un sopravvissuto”

«Mio padre mi voleva notaio, medico, ingegnere o industriale. Ma mia madre, invece, mi ripeteva sempre: “Roberto, te devi fare il parroco, così le donne cattive non ti faranno soffrire”. Lei non voleva che mi sposassi mai, che arrivassi pure a settant'anni senza niente. Mi voleva bene, e forse aveva ragione. Con quello che ho combinato nella vita, è già un miracolo che io sia ancora qui». Così Bobby Solo si confida a Ciao Maschio, ospite di Nunzia De Girolamo, nella puntata in onda oggi, sabato 18 ottobre, alle 17.05 su Rai 1. Nel cuore dell'intervista, il cantante racconta senza filtri gli eccessi del suo passato:
«Con il mio amico Ricky Shane, negli anni Sessanta, abbiamo provato di tutto: anfetamine, hashish, marijuana. Poi negli anni Settanta è arrivato anche l'alcol. Facevo i cocktail nella mia villa all'Eur: davo un Manhattan agli altri e io mi bevevo lo shaker! Ho fumato per trentacinque anni, sigarette di ogni tipo, anche quelle senza filtro». E aggiunge con la sua ironia: «Il Signore mi vuole bene, non c'è altra spiegazione. Sono sopravvissuto a tutto, e continuo a cantare. È la musica che mi tiene vivo». Quando Nunzia De Girolamo lo incalza chiedendogli se le lacrime abbiano mai avuto spazio nella sua vita, Bobby Solo si lascia andare:
«Quando ho perso papà e mamma ero distrutto, ma non riuscivo a piangere. Poi, un giorno, ascoltando James Burton — il chitarrista di Elvis Presley — mentre suonava Mystery Train, mi sono messo a piangere come un bambino. La musica è l'unica cosa che riesce ancora a farmi commuovere». Infine, un dettaglio sorprendente che racchiude il senso della sua storia: «Sono nato privo del nervo uditivo in un orecchio, eppure ho fatto sessantun anni di musica e duecento milioni di concerti. È il segno che la passione può vincere su tutto».

Bobby Solo si racconta senza filtri: “Droghe ed alcol, sono un sopravvissuto”

Bobby Solo si racconta senza filtri: “Droghe ed alcol, sono un sopravvissuto”

«Mio padre mi voleva notaio, medico, ingegnere o industriale. Ma mia madre, invece, mi ripeteva sempre: “Roberto, te devi fare il parroco, così le donne cattive non ti faranno soffrire”. Lei non voleva che mi sposassi mai, che arrivassi pure a settant'anni senza niente. Mi voleva bene, e forse aveva ragione. Con quello che ho combinato nella vita, è già un miracolo che io sia ancora qui». Così Bobby Solo si confida a Ciao Maschio, ospite di Nunzia De Girolamo, nella puntata in onda oggi, sabato 18 ottobre, alle 17.05 su Rai 1. Nel cuore dell'intervista, il cantante racconta senza filtri gli eccessi del suo passato:
«Con il mio amico Ricky Shane, negli anni Sessanta, abbiamo provato di tutto: anfetamine, hashish, marijuana. Poi negli anni Settanta è arrivato anche l'alcol. Facevo i cocktail nella mia villa all'Eur: davo un Manhattan agli altri e io mi bevevo lo shaker! Ho fumato per trentacinque anni, sigarette di ogni tipo, anche quelle senza filtro». E aggiunge con la sua ironia: «Il Signore mi vuole bene, non c'è altra spiegazione. Sono sopravvissuto a tutto, e continuo a cantare. È la musica che mi tiene vivo». Quando Nunzia De Girolamo lo incalza chiedendogli se le lacrime abbiano mai avuto spazio nella sua vita, Bobby Solo si lascia andare:
«Quando ho perso papà e mamma ero distrutto, ma non riuscivo a piangere. Poi, un giorno, ascoltando James Burton — il chitarrista di Elvis Presley — mentre suonava Mystery Train, mi sono messo a piangere come un bambino. La musica è l'unica cosa che riesce ancora a farmi commuovere». Infine, un dettaglio sorprendente che racchiude il senso della sua storia: «Sono nato privo del nervo uditivo in un orecchio, eppure ho fatto sessantun anni di musica e duecento milioni di concerti. È il segno che la passione può vincere su tutto».