Casa Balla: Italian state buys Rome home of Futurist artist

Casa Balla: Italian state buys Rome home of Futurist artist

Rome's Casa Balla to be a permanent museum. The Italian state has purchased the former Rome residence of the important Futurist painter Giacomo Balla, Italy's culture ministry announced on Wednesday. Known as Casa Balla, the colourful property - which has been accessible on a limited basis since 2021 - will now open to the public on a permanent basis as a state-run house-museum. The total value of the acquisition, which also includes copyright, is €6.9 million: €6 million for the artworks and furnishings and €900,000 for the property, the culture ministry said in a statement. Balla, a leading exponent of Italy's Futurism movement in the early 20th century, lived and worked in the house on Via Oslavia in the capital's Prati district from 1929 until his death in 1958.   Born in Turin in 1871, Balla shared the building with his wife Elisa and their daughters Luce and Elica. His two daughters, also painters, stayed living in the house until the 1990s, after which it was closed up for 30 years. The public got a first glimpse of Balla's kaleidoscopic vision of art and colour for the first time in 2021 to mark the 150th anniversary of the painter's birth.  Photos M3Studio Courtesy Fondazione MAXXI © GIACOMO BALLA, by SIAE 2021.

I soldati del Papa in guerra contro il Tricolore

I soldati del Papa in guerra contro il Tricolore

«Poche ore prima di invadere lo Stato Pontificio, correva l’anno 1860, il generale Enrico Cialdini, capintesta degli assedianti piemontesi, rivolgendosi ai suoi uomini, descriveva così i combattenti del Papa: “Soldati, vi conduco contro una masnada di briachi stranieri che sete d’oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi. Combattere, disperdere inesorabilmente...». Gli faceva eco il generale Manfredo Fanti che definiva l’esercito pontificio «bande straniere senza patria e senza tetto». Ora, certa vulgata storica ostinatamente risorgimentalista, dei militari che difesero lo Stato della Chiesa ha fornito nel tempo una descrizione che da quella dipinta da Cialdini (che uno stinco di santo non era, vedi alla voce massacro di Pontelandolfo) non si discosta punto. E invece così, almeno del tutto, non fu. Prova a dimostrarlo Alfio Caruso nel suo I Mille di Pio IX (Diarkos, 352 pagine, 19 euro), saggio in cui l’autore svela come nel turbolento decennio che vide l’Italia unificarsi sotto il tricolore, un esercito composito e determinato impugnò le armi per difendere Pio IX e il potere temporale della Chiesa. Che i papalini avessero torto o ragione, è un altro paio di maniche. Di sicuro, a difendere Roma non si acconciò un’armata Brancaleone di ubriaconi, di mercenari, né di semplici avventurieri. A rischiare, e in tanti casi a rimetterci la ghirba, per difendere il Patrimonium Petri furono principi, conti, duchi e baroni provenienti da tutta Europa, affiancati da soldati olandesi, tedeschi, irlandesi e tanti italiani, uniti dalla fede e dall’ostilità verso la nuova Italia, che consideravano ormai preda della massoneria e nemica della tradizione cattolica. Beninteso, a considerare una jattura l’annessione delle terre pontificie al neonato Stato italiano, furono «anche interessi assai banalmente pratici, diremmo venali. La nobiltà romana, per dire, avvertì immediatamente che oltre a stravolgere i capisaldi del moderatismo e le prerogative del trono e dell’altare, l’esercito “italiano” avrebbe polverizzato anche le rendite di posizioni acquisite nei secoli. Si sappia, al modo di esempio, che tra i più preoccupati risultava il principe Alessandro Torlonia, proprietario di un decimo (25 mila ettari) dell’immenso agro romano. Altrettanto vero è che ad opporsi ai piemontesi non furono dei crociati senza macchia e senza paura. Ci fu chi si arruolò per odio, chi per il soldo, come fecero diversi veterani tedeschi e olandesi. E tuttavia, nella maggioranza dei casi, la spinta ad imbracciare l’archibugio venne dalla fede. E, assieme a essa, «l’attaccamento alla persona del Santo Padre, le cui rigidezze dogmatiche così detestate dagli avversari rappresentavano il mastice dell’intransigenza cattolica» come spiega l’autore. Come che sia, è in questo clima che viene a costituirsi il nucleo indissolubile di fedelissimi del papa: un migliaio di uomini, che nel decennio concluso da Porta Pia, metterà in gioco la propria vita per difenderlo dall’Italia dei Savoia e di Garibaldi. E spesso, sottolinea Caruso, saranno migliori di coloro per i quali andranno a morire. I mille di Pio IX, il pontefice che Peppino Garibaldi definiva «un metro cubo di letame» (quelle finesse...), vengono tutti inquadrati nei “tiragliatori”, trasformati dal primo gennaio 1861 nel battaglione degli zuavi, uomini di fegato che alla guerra dimostreranno di dare del tu. Quello che comunque impressiona dell’esercito pontificio è la sua composizione eterogenea. Forse per la prima volta nella storia il fabbro bavarese combatteva fianco a fianco con il conte francese, lo studente italiano con l’agricoltore irlandese, l’ex seminarista fiammingo con il cacciatore di bisonti statunitense. Nobili e popolino avevano trovato nella Fede e nella comune causa della difesa del potere temporale della Chiesa un collante così efficace da travalicare qualsiasi steccato sociale. I due indiscussi protagonisti di questo burrascoso periodo furono il chiacchieratissimo segretario di Stato della Santa Sede, Giacomo Antonelli e il conte belga Francois-Xavier de Merode, creatore dell’armata pontificia. Accanto ad essi, si distinsero per abilità comandanti come Kanzler, De Courten, Allet, Azzanesi e Ungarelli, de Charette, gente che aveva maturato una lunga carriera nell’esercito pontificio. I fatti andarono come andarono. Con la presa di Roma, l’Italia era completata. Eppure, ci fu chi, nel nome del Papa, se ne tenne distante. Il generale Hermann Kanzler, ottenuta la cittadinanza romana dopo Mentana e nominato barone da Leone XIII, visse a Roma con l’animo dell’ospite fino alla morte nel 1888. Il conte generale Raphael de Courten, accommiatatosi dai soldati con un commovente saluto a bordo della fregata Orenoque, si stabilì a Firenze dopo un breve soggiorno in Svizzera. Il colonnello Achille Azzanesi, ingiuriato l’8 dicembre 1870 in piazza San Pietro mentre inneggiava a Pio IX durante le solenni funzioni in gloria dell’Immacolata Concezione, si ritirò a vita privata sentendosi straniero in casa. Il principe Alfonso Carlo di Borbone d’Austria-Este impegnò il proprio patrimonio in opere assistenziali e creando la Lega internazionale antiduellista. Alla firma dei Patti lateranensi nel 1929 annuncerà che mai più metterà piede a Roma. Prima di morire aderisce al golpe del generale Francisco Franco in Spagna. Il conte Filippo di Carpegna rifiuterà ripetutamente di entrare nell’esercito italiano. Identico comportamento tenne il figlio Gustavo. Il tenente colonnello Odoardo Corbucci, respinta anch’egli la richiesta di arruolarsi nell’esercito, si dedicherà all’amministrazione della propria azienda agricola, alla creazione di cooperative cattoliche e a opere filantropiche.

ComoLake: Locatelli: "Grazie a ia disabili possono avere opportunità di formazione e lavoro"

ComoLake: Locatelli: "Grazie a ia disabili possono avere opportunità di formazione e lavoro"

Milano, 15 ott. (Adnkronos) - "Grazie all'intelligenza artificiale sempre più persone con disabilità e difficoltà possono avere le stesse opportunità di formazione e lavoro, di vita sociale piena e partecipata". Lo ha affermato oggi il ministro per la Disabilità, Alessandra Locatelli, intervenendo al Digital Innovation Forum, in corso a Cernobbio. "Oggi le persone con disabilità oggi hanno molte possibilità in più, ma abbiamo bisogno di offrirne loro di più - ha poi aggiunto -. Credo che questo nuovo sguardo che stiamo promuovendo ci consenta di vedere in ogni persona le potenzialità e non i limiti. Possiamo offrire qualità della vita migliore a tutti".

Manovra: Pd, 'governo immobile, non affronta sfide decisive per il Paese'

Manovra: Pd, 'governo immobile, non affronta sfide decisive per il Paese'

Roma, 15 ott. (Adnkronos) - "La manovra approvata dal governo Meloni è la più modesta e inconsistente da molti anni a questa parte. Di fronte a un'economia ferma - nonostante gli investimenti del Pnrr - ai contraccolpi negativi dei dazi di Trump e all'aumento delle disuguaglianze e della povertà, la maggioranza ha deciso di navigare a vista, privilegiando l'austerità allo sviluppo. La legge di bilancio che si va delineando si rassegna alla stagnazione e rinuncia a mettere in campo una strategia di rilancio dell'economia. Tenere i conti in ordine è importante, ma se il Paese non tornerà a crescere, sarà molto difficile anche contenere il peso del debito pubblico, come evidenziano le stime preoccupanti dell'Ufficio parlamentare di bilancio". Così in una nota Antonio Misiani, responsabile Economia nella segreteria nazionale del Pd. "La discesa del deficit al di sotto del 3 per cento del PIL nel 2025 è un risultato importante ma al prezzo di una pressione fiscale al livello più alto degli ultimi dieci anni e della compressione della spesa pubblica per la sanità, l'istruzione e le politiche industriali. L'Italia avrebbe bisogno di una politica economica capace di stimolare investimenti, innovazione e buona occupazione. Avrebbe bisogno di ridare ossigeno al potere d'acquisto delle famiglie e ad una serie di servizi pubblici in crisi, a partire dal sistema sanitario nazionale". "Questa legge di bilancio, invece, si limita alla manutenzione del Piano strutturale di medio termine presentato un anno fa: un piano che già allora avevamo giudicato vuoto, debole e inadeguato. Non a caso, l'impatto della manovra sulla crescita per l'anno prossimo sarà zero secondo il governo e addirittura negativo secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio. Nella legge di bilancio spicca l'assenza di una vera politica industriale: gli interventi ipotizzati sono di portata limitata e decisamente lontani dalla manovra poderosa e dalla visione a tre anni che chiedeva Confindustria. I costi dell'energia sono a livelli insostenibili ma nulla di serio è previsto per tagliarli. Le esportazioni stanno crollando a causa delle barriere commerciali americane ma non c'è traccia del piano di sostegno promesso sei mesi fa da Giorgia Meloni. Le misure di riduzione dell'Irpef rappresentano una piccola frazione dei 25 miliardi silenziosamente sottratti ai contribuenti a causa del fiscal drag. I fondi aggiuntivi destinati alla sanità sono una toppa del tutto insufficiente per affrontare una crisi ormai drammatica: quasi 6 milioni di persone rinunciano a visite o esami specialistici e gli italiani sono costretti a spendere più di 40 miliardi di euro all'anno nella sanità privata. Non a caso, nei prossimi tre anni verranno meno diecimila assunzioni di medici e infermieri". "Per il resto, nella manovra più piatta e rinunciataria degli ultimi anni, ci sarà un aumento delle spese militari senza precedenti, frutto del diktat di Trump avallato senza fiatare da Giorgia Meloni; l'ennesima rottamazione delle cartelle; l'aumento dell'età di pensionamento per tutti i lavoratori tranne una piccola minoranza. Andranno viste nel dettaglio le coperture, perché a fronte di un contributo da banche e assicurazione tutto da verificare, non è ancora chiaro quali voci di spesa saranno colpite dai tagli e da dove arriveranno le entrate aggiuntive previste. Nel complesso, questa manovra è la fotografia di un governo immobile, che naviga a vista e rinuncia ad affrontare le sfide decisive per il futuro del Paese. Non ci sono le scelte coraggiose di cui avremmo bisogno, non c'è alcuna volontà di mettere al centro il lavoro, la competitività e la giustizia sociale. È un problema grave, per un Paese la cui economia è intrappolata nella stagnazione, con la povertà e la pressione fiscale a livelli record.”

Mr. Scorsese", la vita, i segreti, i film, nel documentario su Apple TV+

Mr. Scorsese", la vita, i segreti, i film, nel documentario su Apple TV+

Roma, 15 ott. (askanews) - E' lo straordinario ritratto di un uomo, con la sua infanzia, le sue debolezze, il suo genio, la sua perenne febbre creativa, "Mr. Scorsese", il documentario in cinque parti diretto da Rebecca Miller, dal 17 ottobre su Apple TV+. La regista ha impiegato quasi 5 anni per realizzare questo film, che si dipana attorno a una lunga intervista in cui il regista parla con grande sincerità di sé stesso e racconta in prima persona la nascita di ognuno dei suoi capolavori. Parallelamente le voci delle persone più vicine a lui, dagli amici di infanzia alle figlie, ai suoi "alter ego" Robert De Niro e Leonardo Di Caprio, aiutano a comprendere meglio un uomo profondamente cattolico ma affascinato dal lato oscuro dell'essere umano, che tutta la vita si è interrogato, attraverso i suoi personaggi cinematografici, sulla vera natura dell'uomo. Miller parte da filmati e fotografie di Martin bambino, della sua famiglia, di quella comunità italoamericana a New York segnata dalle leggi e dalla violenza della mafia italiana. "Ho sempre creduto che fosse importante iniziare con i suoi inizi, l'infanzia, l'ingresso nell'età adulta, perché credo che lì sia l'origine di tutto. Anche la base del suo lavoro secondo me è da ritrovare nella sua famiglia e nel quartiere dove è cresciuto". Quella violenza che ha visto da bambino il regista l'ha fatta rivivere nei suoi primi film, "Mean streets" e "Taxi driver", che lo portarono alla ribalta come autore geniale e controverso ma lo condussero in uno dei momenti bui della sua vita, quando rischiò di morire per l'abuso di droghe. Fu De Niro, amico di una vita, che lo convinse a non lasciarsi andare e a dirigerlo in "Toro scatenato", altro film in cui la rabbia è protagonista. Quella stessa rabbia che spesso si è trasformata in energia creativa nella vita del regista. Intervistata dalla Miller, Isabella Rossellini, che è stata sua moglie dal 1979 al 1982, nel documentario afferma: "Marty è un santo-peccatore, santo per le domande che si pone sul senso della vita ma peccatore perché è caduto molte volte. E' un uomo tormentato". Un uomo che ha saputo toccare generi totalmente diversi, ha plasmato la sua visione artistica, ha stupito il mondo con la propria originalità, creando capolavori come "Quei bravi ragazzi", "L'età dell'innocenza", "Casino", "Gang of New York", "The Aviator", "The Wolf of Wall Street", "Killers of the flower moon". "I suoi sono film sull'America, sugli Stati Uniti, sulla nostra storia. L'intero corpo del suo lavoro la racconta, nel bene e nel male". Oggi Scorsese ha 82 anni, continua ad avere mille progetti e, allo stesso tempo, si occupa dell'amatissima ultima moglie, Helen Morris, gravemente malata. "Io credo che stia sempre combattendo per poter riuscire a raccontare la sua prossima storia, credo che lui sia convinto che il film migliore deve ancora arrivare, non penso che si fermerà mai".

Albanese, attacco antisemita a Mieli. Cerno: "Adesso andiamo in piazza noi"

Albanese, attacco antisemita a Mieli. Cerno: "Adesso andiamo in piazza noi"

Irascibile e scatenata, bastonate a chiunque dissenta dalle sue stravaganti analisi. L'identikit è quello di Francesca Albanese, la papessa del movimento ProPal, spiazzata dagli accordi di pace di Sharm el-Sheikh e quindi ancora più nervosa. L'ultima sua vittima è l'editorialista Paolo Mieli, reo di aver detto cose non gradite nel salotto di Lilli Gruber, ad Otto e mezzo. Parte la rappresaglia, prima la relatrice delle Nazioni Unite condivide sui social la stroncatura di uno scrittore malese: “Paolo Mieli, con il suo linguaggio apparentemente moderato, perpetua la logica del dominatore che decide tempi, libertà e dignità degli oppressi”. Poi ci mette del suo: “In questi anni mi sono spesso chiesta come l'Italia fosse di colpo arrivata ad avere la stampa mainstream più sionista dell'Europa occidentale”. Insomma libertà di opinione, questa sconosciuta. Motivo del contendere è la sorte di Marwan Barghouti, il prigioniero palestinese che Israele si è rifiutata di liberare. Già perché il più influente esponente palestinese è anche condannato a cinque ergastoli, per altrettanti omicidi. Altro che “incarcerato ingiustamente per ragioni esclusivamente politiche”. Nonostante le ormai numerose intemperanze, la papessa delle Nazioni Unite continua a incontrare le simpatie della sinistra che l'ha in qualche modo eletta a sua interprete ufficiale. Soltanto ieri la vicesindaca di Bologna, Emily Marion Clancy, una sorta di clone di Elly Schlein, ha difeso a spada tratta la cittadinanza onoraria che la città degli Asinelli ha concesso alla sacra vestale pro Pal. “È la nuova regina della sinistra”, ironizza Tommaso Cerno, direttore del Tempo, “Bisognerà promuovere una manifestazione per la libertà contro questa nuova ondata di intolleranza”. Il Tempo, infatti, è nel mirino della Albanese, che ha bloccato sui social il quotidiano romano, d'altra parte fu proprio la papessa a identificare la condanna: “La propaganda progenocidio va indagata e punita". Al patibolo ci pensa lei.