Trump umilia Macron a Sharm: "Stai in seconda fila"

Trump umilia Macron a Sharm: "Stai in seconda fila"

In prima fila, dietro alla scritta “Peace 2025”, ci sono i leader dei quattro Paesi negoziatori: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, star della giornata, il presidente dell’Egitto Abdel Fattah al -Sisi, quello turco Recep Tayyip Erdogan, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al Thani. Subito dietro, gli oltre trenta leader presenti al vertice che sancisce «finalmente la pace», afferma entusiasta Trump arrivato in Egitto dopo il discorso alla Knesset. Con il suo Air force one, scortato dai caccia egiziani, il tycoon è stato accolto all’aeroporto da Al Sisi e poi, sul palco dell’International congress center, omaggiato dagli altri capi di Stato accorsi al summit «per costruire un Medio Oriente prospero e libero dal terrore». L’inquilino della Casa Bianca ha una parola per tutti, ma con Giorgia Meloni, unica leader donna presente è affettuoso e galante: «Wonderful woman», la saluta, e oltre ad essere bella sta facendo «un buon lavoro ed è rispettata da tutti». Trump s’intrattiene a lungo con il presidente dell’autorità palestinese Abu Mazen; è prodigo di elogi per al-Sisi («è stato determinante, Hamas rispetta l’Egitto, vorrei averlo all’interno del consiglio per la pace per Gaza», dice). Complimenti pure per Erdogan: «C’è sempre quando ne ho bisogno...». E poi rivolgendosi agli altri presenti: «We just made a big deal today, so time for a big smile». Grandi sorrisi per un grande accordo. Del resto, ora è il momento di voltare pagina e di creare un nuovo organismo che governerà Gaza e penserà alla ricostruzione di un territorio nel quale «molti paesi di grande ricchezza, potere e dignità sono pronti a impegnarsi fornendo i finanziamenti necessari». [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44541631]] Con il premier spagnolo Pedro Sanchez, unico a mettersi di traverso nei mesi scorsi sull’ipotesi di aumento delle spese militari, la stretta di mano è decisa, poi lo spagnolo si congeda con una pacca sulle spalle. Grande era l’attesa per l’arrivo dell’ex primo ministro britannico Tony Blair, indicato nel ruolo di vicecapo del Consiglio di pace per Gaza secondo il piano Trump. Toccherà davvero a lui? «Ho sempre apprezzato Tony, ma voglio scoprire se è una scelta accettabile per tutti», ha detto il tycoon. Dal vecchio continente sono arrivati il britannico Keir Starmer, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il greco Mitsotakis, l’ungherese Viktor Orban e il cipriota Nikos Christodoulides. A Bruxelles, l’invito è stato recapitato al presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, non a Ursula von der Leyen né a Kaja Kallas. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44544673]] Con il francese Macron scappa una bat tutina: «Non ci posso credere che Emmanuel non sia in piedi dietro di me ma seduto in platea. Hai scelto il profilo basso oggi?», ha scherzato Trump dal palco. Per poi aggiungere: «È un mio amico». Ma i riflettori erano tutti per Donald (congratulazioni pure da Bill Clinton), mentre era assente dal vertice il primo ministro israeliano Bibi Netanyahu.

Ucraina, vigili del fuoco domano fiamme dopo attacco russo su Sumy

Ucraina, vigili del fuoco domano fiamme dopo attacco russo su Sumy

Kiev, 14 ott. (askanews) - I vigili del fuoco della città ucraina nordorientale di Sumy stanno lavorando per spegnere un incendio scatenato da un attacco russo su un edificio non residenziale nelle prime ore del mattino. Le squadre di emergenza sono intervenute rapidamente per contenere le fiamme e ispezionare l'area. Le autorità affermano che tutti i focolai sono sotto controllo e non sono state segnalate vittime.

Toscana, Giani bis: ora il Governo mantenga le promesse elettorali

Toscana, Giani bis: ora il Governo mantenga le promesse elettorali

Firenze, 14 ott. (askanews) - "Il 54% dei voti quando l'altra volta presi il 48% significa sei punti percentuali in più rispetto a 5 anni fa. Ma significa anche 13 punti in più rispetto a il competitor del centrodestra Tommasi che ha sfiorato il 41%". Lo ha sottolineato il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, parlando ai giornalisti. "Quindi noi ci troviamo di fronte a un risultato che sinceramente me l'avessero detto un un mese fa non avrei pensato di questa portata. Ma addirittura fino a questa settimana ho visto autorevolissimi esponenti da premier, vicepremier, ministri che sono arrivati con grande impegno e con tante promesse. Naturalmente ora io sarò vigile sul fatto che vengano rispettate quelle promesse". "E sono venuti con tutto questo impegno convinti anche che avrebbero potuto vincere. Ecco, ho visto anche questo, ho visto dichiarazioni che parlavano a soli due giorni dal voto di una potenzialità competitiva. E insomma, tutta questa potenzialità competitiva -ha concluso ironicamente Giani- ci porta ad essere avanti di 13 punti".

Gaza, i palestinesi iniziano ad ammazzarsi tra loro

Gaza, i palestinesi iniziano ad ammazzarsi tra loro

«Questa volta le persone non stavano fuggendo dagli attacchi israeliani, stavano scappando dalla loro gente», ha detto alla Bbc un residente del quartiere di Tel al-Hawa, nella parte meridionale di Gaza City. Lì, domenica, sono arrivati oltre trecento uomini di Hamas per assaltare l’isolato dove si erano trincerati gli uomini armati del clan Doghmush. Sono morti in 52. Hamas ha accusato il clan di aver ucciso 12 dei suoi combattenti in precedenti scontri, Doghmush ha accusato i miliziani di aver sfruttato il cessate il fuoco per prenderli di mira per presunta cooperazione con Israele. Come gli Husayni e i Barghouti, i Doghmush sono una delle famiglie più importanti della Palestina e non sono nuovi alle lotte intestine. Di origine turca, arrivati a Gaza dall’inizio del XX secolo, il clan ha alternato periodi di allineamento con Hamas ad altri di dichiarata opposizione. Da marzo dell’anno scorso è guerra aperta: Hamas ha giustiziato il loro leader, Saleh Doghmush, accusato di collusione con Israele. Secondo le fonti, era stato contattato dalle Forze di difesa israeliane perché supervisionasse la distribuzione degli aiuti nella Striscia. Niente di nuovo, per un territorio da sempre irrorato da clientelismo e corruzione, faide, tradimenti e influenze e, ovviamente, dalle armi. Durante le intifada, i clan di Gaza imbracciarono gli Ak-47 e contribuirono all’eliminazione dell’Autorità nazionale palestinese. Hamas regnante, però, famiglie, gang, gruppi paramilitari, non sono mai riusciti a mettersi d’accordo. Fin dall’inizio della guerra scoppiata dopo il 7 ottobre, le manifestazioni di dissenso nei confronti di Hamas si sono registrate sia tra gli sfollati, costretti a fuggire dalle bombe mentre i miliziani riparavano nei tunnel, sia per la gestione del mercato nero degli aiuti umanitari, che, invece di essere distribuiti alla popolazione, scendevano nei cunicoli sotterranei assieme ai terroristi. Lo scorso marzo, per citare l’esempio più recente, era circolato un appello per una intifada sha’biyya, un’intifada popolare, contro Hamas. La carta era intestata: “Stato di Palestina – Famiglie e clan dei governatorati meridionali della Striscia di Gaza”. Il testo diceva che Hamas avrebbe dovuto lasciare immediatamente la presa su Gaza, che l’assedio subìto era stato causato da «decisioni che non ci rappresentano», che «Gaza sarà liberata dalla volontà del suo popolo». Per due anni le proteste sono state tacciate di collaborazionismo filo-israeliano e duramente represse. Adesso le famiglie hanno buon gioco per accaparrarsi un po’ di potere nella Gaza che verrà, e cioè nella fase 2 del piano trumpiano. Nella ricostruzione, inoltre, anche i signori della guerra vogliono la loro parte. Tra questi, Hussan al Astal, che ha reclutato la sua milizia offrendo beni di prima necessità, acqua e elettricità nel villaggio abbandonato di Kizan an Najar, a est della città. Nella piccola enclave armata «non c’è posto per i cani di Hamas», recita il suo slogan. È un gruppo che potrebbe diventare la spina dorsale dell’autorità transitoria per la sicurezza di Gaza guidata dall’ex primo ministro britannico Tony Blair? «Penso che l’aiuto di Blair possa essere utile», ha risposto Astal in un’intervista al Telegraph, «soprattutto se accompagnato da un mandato internazionale. Siamo pronti a collaborare con chiunque voglia portare aiuto alla nostra gente». Oltre alla sua milizia, nella mappa del potere leopardato della Striscia si muovono almeno altri tre gruppi armati: gli al Majida a Khan Younis, gli uomini di Yasser Abu Shabab nel settore orientale di Rafah (sud della Striscia) e quelli di Ashraf al Mansi, a Beit Lahiya (nord). Il rischio è che Gaza resti in un limbo: il 47% non controllato da Israele rischia o di tornare sotto il controllo di Hamas, che secondo la Bbc ha schierato 7mila miliziani sul territorio per «ripulire Gaza dai fuorilegge e dai collaboratori di Israele», oppure di diventare terreno per una guerra civile tra disperati, con scontri come quelli avvenuti la settimana scorsa nella zona costiera di Khan Younis, dove si sono scontrati uomini armati della famiglia Majayda e forze di polizia di Hamas, supportate dalle Brigate al-Qassam. Intanto, anche in Giudea e Samaria la situazione è tesa. Nel fine settimana, le autorità israeliane hanno condotto operazioni in diversi villaggi della zona di Ramallah, tra cui Silwad e Nil’in, dove si erano radunati sostenitori di Hamas. Sarà anche “neocoloniale”, come i critici hanno tacciato il piano americano, ma il Consiglio della Pace e la Forza internazionale di stabilizzazione dovranno muoversi in fretta.